La
sessualità costituisce l’ambito in cui l’avventura dell’incontro con un’altra
soggettività è, o almeno può essere, più intensa. Il contatto fisico nella
sessualità è più piacevole e intimo di quanto possa essere in qualsiasi altro
rapporto interpersonale e, se non intervengono chiusure psicologiche, nella
sessualità il mondo interno del/della
partner può essere esplorato più che nei rapporti di amicizia, di
collaborazione, di condivisione o di affinità intellettuale. Inoltre, nel
rapporto sessuale la reciprocità può
essere completa, mentre ciò non si verifica in rapporti anche molto intensi di
altro tipo (fra genitori e figli o fra esseri umani ed altri animali). Ciò non
significa, purtroppo, che la sessualità sia sempre un’esperienza realmente
intensa, ma significa che essa ha un ruolo centrale nell’esistenza personale
perché essa, più di altre esperienze, consente agli esseri umani di trascendere la loro soggettività ed il
piano della sopravvivenza. Anche se la sessualità ha reso possibile la
sopravvivenza della specie umana, per i singoli esseri umani è semplicemente
l’ambito del piacere, della conoscenza, dell’amore, della complicità, del gioco
e dell’avventura di esistere.
La
sessualità è normalmente repressa: lo è sia nei casi in cui il desiderio
sessuale è bloccato o poco percepito, sia nei casi in cui è “ristretto” alla
scarica di una tensione. In casi più rari è repressa, paradossalmente, proprio perché
viene valorizzata in quanto dimostrazione di un ruolo sociale idealizzato. Le
tante persone che hanno “cose più importanti a cui pensare”, o che “hanno
bisogno di uno sfogo” o che fanno sesso per sentirsi affascinanti, reprimono la propria sessualità: nel
primo caso indeboliscono il desiderio sessuale, nel secondo caso lo rendono
esclusivamente fisico e nel terzo caso lo usano per soddisfare il bisogno
infantile di stare “al centro dell’attenzione”. In tutti i casi in cui la
sessualità è repressa è anche svalutata.
L’esperienza
della sessualità è in genere temuta e svalutata per un solo motivo: fin
dall’infanzia gli esseri umani sperimentano nella famiglia il rifiuto quando
cercano il piacere, o almeno quando non si limitano a godere di qualcosa nei
limiti, nei tempi e nelle modalità compatibili con le chiusure mentali ed
emozionali dei genitori. Lo svezzamento brusco, la derisione dei bambini
“appiccicosi”, il disprezzo per il pianto, per la curiosità e per le
manifestazioni di entusiasmo ostacolano l’espressione del potenziale personale
nell’infanzia e rendono necessarie le difese psicologiche. Frasi come
“Smettila, non dare fastidio!”, oppure “Vergognati!”, oppure “Capirai queste
cose da grande!”, oppure “Sei cattivo/a!”, oppure “Prima il dovere e poi il
piacere” suggeriscono ai bambini che, se restano ciò che sono, perderanno la
sicurezza dell’amore. In realtà, tali espressioni verbali indicano che l’amore
è già assente o scarso, ma i bambini preferiscono credere di poter meritare
l’amore rinunciando alla propria identità. I bambini imparano presto a
dissociarsi dal rifiuto intollerabile dei genitori e, divenuti adulti,
continuano a temere di “esporsi” quando il rifiuto può essere particolarmente
doloroso. Da ciò deriva il normale terrore della sessualità. In realtà, i
bambini e gli adulti non hanno alcun terrore della sessualità in quanto tale, ma temono semplicemente di
lasciarsi andare nell’intimità, come hanno già fatto (dolorosamente) da
piccoli, con i genitori. Le più diffuse concezioni della sessualità sono
razionalizzazioni di difese psicologiche e le due concezioni che maggiormente
ostacolano la comprensione della sessualità degli esseri umani sono (con mille
sfumature) quella “strumentale” e quella “riduttiva”. Tali concezioni, in modi
opposti, riflettono la stessa profonda svalutazione del piacere.
Nelle
concezioni “strumentali” il sesso è considerato importante in quanto mezzo adatto
al perseguimento di fini “elevati”. Viene quindi accettato in quanto aspetto
subordinato a ciò che ha davvero “valore”, ma viene svalutato in quanto
esperienza intima e piacevole. Poco cambia,
quindi, se la “giustificazione” del sesso riguarda la procreazione, la
formazione di un nucleo famigliare, o la realizzazione di una profonda armonia
“spirituale”. Di fatto, chi scuote la testa affermando che una certa persona
“pensa solo a quello” o “non ha intenzioni serie” implica che la ricerca del
piacere sessuale sganciata da qualche tipo di “impegno” (matrimoniale,
religioso o psicologico), sia inaccettabile o “sporca”. Tali concezioni
svalutative sono completamente irrazionali. Infatti, nessuno storce il naso se
vede un bambino che “si limita” a giocare a palla senza proporsi di verificare
le leggi fisiche del moto o che “si limita” a giocare a nascondino senza avere
in mente di allenarsi per diventare un agente segreto. Perché il puro piacere
del gioco di un bambino può essere “puro”, mentre il piacere sessuale non può
essere “puro” se non costituisce la premessa di realizzazioni ulteriori? Perché
il piacere della lettura di un romanzo è ritenuto “serio” anche se il lettore è
un medico che non ha alcuna intenzione di laurearsi in letteratura, mentre il piacere
di un orgasmo risulta serio solo come contributo alla procreazione? Queste
domande semplici non hanno alcuna risposta e tutte le risposte disponibili
costituiscono solo versioni intellettualizzate di un disgusto irrazionale per
il piacere sessuale. Tale disgusto ben difficilmente può essere spiegato se non
si prende in considerazione il terrore dei bambini di essere squalificati o
respinti dai genitori per le loro “eccessive” esigenze affettive. I genitori che pretendono qualcosa dai figli non
desiderano che i figli siano prima di tutto felici, ma pretendono che facciano
un mucchio di cose che non hanno molto a che fare con il piacere. Non è solo
l’esplicita repressione dei giochi sessuali a generare nei bambini la
svalutazione del sesso, ma proprio la complessiva
svalutazione del piacere e di ciò che non è ritenuto “utile” o “giusto” dai
genitori.
Nelle
concezioni che etichetto come “riduttive”, la sessualità è ridotta a meccanismo
fisiologico. Anche se è ritenuta emotivamente significativa, viene considerata
come l’espressione di un’emotività a sua volta ridotta a fisiologia. Di fatto,
qualsiasi spiegazione del comportamento sessuale umano basato su criteri
etologici, evolutivi, biologici o “energetici”, anche se coglie elementi
marginali, fallisce nel mettere a fuoco l’aspetto più importante del rapporto
sessuale: gli esseri umani, in quanto esseri coscienti ed autocoscienti, non si
limitano ad “accoppiarsi”, ma cercano (o evitano, per paura) l’intimità, la
complicità, la sintonia. Il potenziale espressivo della sessualità umana, anche
in una semplice “avventura”, è di un altro ordine rispetto a quello degli altri
animali. Noi
cerchiamo un/una partner compatibile con le nostre aspettative psicologiche (o
almeno siamo potenzialmente in grado di farlo), mentre leoni e lupi cercano
un/una partner compatibile con “le aspettative della selezione naturale” e solo
in alcuni casi e in qualche misura provano anche
un coinvolgimento emotivo. Possiamo ricorrere a Darwin per spiegare alcune
forme di attrazione o repulsione sessuale fra animali, ma l’esperienza dell’intimità
sessuale trascende qualsiasi spiegazione evolutiva, così come le frequenti
forme di manipolazione, inganno e conflittualità nelle relazioni di coppia non
si spiegano in base agli “obiettivi” della specie, perché si spiegano solo in
base alle difese psicologiche. Per questo motivo, la sessualità umana (anche
quella non “giustificata”da scopi “elevati”) rientra nell’ambito espressivo
dell’avventura di esistere. Le concezioni secondo cui fare sesso è come bere un
bicchier d’acqua scandalizzano i moralisti, ma in fondo condividono con le
concezioni etiche l’idea che il sesso non costituisca un ambito privilegiato di
espressione delle potenzialità umane.
La
sessualità umana è essenzialmente un
campo di possibilità istituito dalla coscienza, dall’autocoscienza e
dall’esigenza di un contatto e di un incontro. Per ora voglio solo sottolineare
che le concezioni “strumentali” e quelle "riduttive" servono a disconoscere
l’avventura specificamente umana della ricerca consapevole del piacere nel
contatto interpersonale. In realtà ho semplificato le cose mettendo in evidenza
queste due basilari letture svalutative della ricerca del piacere sessuale,
dato che la svalutazione della sessualità può declinarsi in molti modi. Di
fatto gli atteggiamenti esplicitamente o implicitamente svalutativi riguardanti
il piacere sessuale sono moltissimi e possono anche intrecciarsi in vari modi,
ma limitano comunque la libertà di una compiuta espressione del potenziale
personale.
Al
di là delle varie operazioni ideologiche volte a giustificare e consolidare la
normale devastazione della sessualità umana, resta il fatto che il piacere del contatto fisico, emotivo e
sessuale sta alla base della gioia di vivere e della felicità possibile
agli esseri umani (cfr. Montagu, 1971). La sessualità umana è centrale nella
dimensione soggettiva ed in quella relazionale delle persone. Il piacere del
contatto inizia con la nascita e con la ricerca del seno, quindi con un
riflesso. L’inizio, ovviamente, è rudimentale perché la consapevolezza di sé di
un neonato è davvero minima, ma proprio nei primi minuti di vita tale
consapevolezza inizia a prendere forma. L’idea che l’allattamento sia “solo
alimentazione” è semplicemente errata e trascura il fatto che proprio la
mancanza di competenze intellettive del neonato (associata alla sua capacità di
provare sensazioni intense) rende l’allattamento non solo importante per la
sopravvivenza, ma per il consolidamento delle basilari sensazioni di sicurezza.
Dopo la poppata il neonato si rilassa, scarica completamente la tensione con
quel tremito che lo scuote dalla bocca alla pelvi (e che costituisce “l’orgasmo
orale”) e fa la nanna, completamente pacificato. L’esperienza è “assoluta”,
meravigliosa, profondamente umana, non
richiede alcuna “spiegazione spirituale” e non è riducibile ad un “meccanismo
fisiologico”, perché getta le basi della coscienza di sé. Costituisce
l’inizio dell’intera esistenza personale, di una soggettività unica
nell’universo e di una serie di relazioni che avranno conseguenze su tutta la
storia dell’umanità. Tale inizio è caratterizzato dal bisogno di contatto e tale bisogno permane negli anni
dell’infanzia, anche se gradualmente si attenua, fino a cambiare radicalmente
nell’adolescenza. In questa fase il desiderio
del contatto gradualmente sostituisce il bisogno del contatto. Nella vita adulta, purtroppo, permangono
spesso sensazioni infantili di
bisogno che complicano l'espressione della sessualità.
L’inizio
(rudimentale ma “travolgente”) del piacere e quindi della sessualità diventa
nella vita adulta ricerca consapevole di buone relazioni, che possono essere
“buone” proprio nella misura in cui risultano piacevoli, armoniose, libere,
intense. Per comprendere il piacere del contatto fisico ed emotivo degli
adulti, e quindi anche e soprattutto il piacere del contatto sessuale, è
indispensabile tener presente che tale piacere si realizza fra due esseri che sono coscienti e che hanno
una storia. Il contatto fisico è bellissimo e intenso anche fra gli
animali (non fra i coleotteri, ma sicuramente fra le scimmie, i cani o altri
animali sociali), ma negli esseri umani implica una consapevolezza particolare
del piacere e della relazione. In questo senso la bellezza del contatto fisico
ed emotivo fra esseri autocoscienti è unica e per riconoscere tale unicità
dobbiamo tener presente tutta la dimensione soggettiva e interpersonale. Non
abbiamo motivi razionali per spiegare ciò sulla base di ipotetici piani spirituali
o per ridurre tale ambito a quello dei nervi e dei vasi sanguigni.
Solo
i pregiudizi moralistici (e quindi il terrore infantile di espressioni libere
della ricerca del contatto) portano ad irrazionali esigenze di “giustificare”
il piacere sessuale. Non è concepibile una sola ragione per considerare
“tenero” il gesto di un bambino che protende le braccia verso la madre o il
padre, per considerare “caldo” o “generoso” il gesto di chi accarezza il viso
di una persona anziana e per considerare “inopportuno” o “offensivo” o
“egoistico” un garbato invito erotico manifestato prima dei tempi socialmente
stabiliti. Si può obiettare che l’invito erotico ad una persona appena
conosciuta si riduce ad un desiderio di contatto “puramente fisico”, ma in
questo modo si trascura il fatto che è molto più “rudimentale” il gesto di un
bambino di pochi mesi verso la mamma di quello di chi corteggia una persona appena
conosciuta, dato che in questo caso è comunque presente un apprezzamento (forse
minimo, ma non irrilevante) del suo “modo di fare e di essere”. Purtroppo, ciò
che non viene normalmente riconosciuto è il fatto che chi parla di
“profondità”, “autenticità” e "rispetto",
non ha alcun rispetto per ciò che è
davvero profondo ed autentico nella vita delle persone: l’incontro, il piacere
di stare vicini in questo grande universo in cui ci troviamo smarriti e confusi
e in cui solo i nostri simili possono offrirci sicurezza (nell’infanzia) o
compassione, complicità e piacevole intimità (nella vita adulta).
Ciò
che va quindi sottolineato, e che approfondirò nei prossimi capitoli, è il
fatto che il desiderio sessuale costituisce negli esseri umani un’espressione particolarmente intensa
di ciò che le persone sono e
un’espressione particolarmente intensa dell’esigenza di dilatare la sfera della
soggettività fino al contatto con la soggettività di un’altra persona. L’esigenza di trascendere la dimensione
soggettiva costruendo una relazione coincide, quindi, con l’esigenza di esistere umanamente,
dato che proprio nel contatto fisico, emotivo e anche sessuale le persone trovano ed
esprimono ciò che non si riduce alla sopravvivenza. In questa trascendenza non
viene espresso il bisogno (infantile) di un contatto nutriente e rassicurante,
ma viene cercato il piacere dell’incontro con un oggetto percepito come
portatore di un’altra soggettività. Questo è un fatto, non una congettura o un
dogma. Nessun viaggio esotico può essere più avventuroso dell’esplorazione del
mondo interiore di una persona con cui si fa l’amore, se i due amanti non sono
“impegnati” a fingere di essere bambini complicati o sottomessi o perfetti o
confusi.
L’avventura
dell’intimità è un tuffo, un volo, una creazione e non è quindi un semplice
comportamento geneticamente programmato. L’attrazione
sessuale non è mai “solo fisica”, perché gli esseri umani non sono “solo fisici”.
Le persone “portano a spasso” la loro soggettività anche nel modo di camminare,
di sorridere, di utilizzare le parole, di tenere le distanze e di accorciare le
distanze. Chiunque sicuramente ha conosciuto delle persone fisicamente più che
apprezzabili, ritenute
“oggettivamente desiderabili”, ma non
percepite come desiderabili. Solo gravi dissociazioni psicologiche possono
rendere un uomo o una donna attratto/a da qualsiasi partner “accettabile e
disponibile”. La “diffusione” della soggettività in ogni movimento corporeo
rende la sessualità un’esperienza non necessariamente riconducibile ad un
ipotetico piano spirituale, ma sicuramente non riducibile al piano fisico-biologico.
Le persone in ogni gesto esprimono tutta la loro storia, tutto ciò che hanno
capito e sentito (o frainteso) nella loro storia e tutto ciò che si propongono
di realizzare (o di distruggere) negli anni a venire. Persino il dialogo
interno è relazionale e trascendente: se con noi stessi considerassimo solo ciò
che desideriamo fare da soli e progettassimo di creare qualcosa da contemplare
in solitudine, saremmo completamente fuori di testa. Il dialogo interno inizia
con l’esame dei desideri (soprattutto dei
desideri di contatto e di relazione), si sviluppa con il resoconto delle
gratificazioni e delle frustrazioni create o ottenute, giunge all’accettazione
della gioia e del dolore e si traduce in scelte e progetti. Persino chi vive
nel peggior egocentrismo conduce un dialogo interno difensivo che
presuppone il desiderio (negato) degli
altri.
Noi
siamo esseri sociali e possiamo relazionarci con gli altri in modi espressivi o
difensivi, ma non abbiamo l’opzione di prescindere dagli altri. Viviamo fondamentalmente per farci buona
compagnia. Purtroppo a questo bisogno/desiderio di contatto si aggiunge la
paura (“antica”) di un contatto doloroso e quindi viviamo spesso proprio per
non sentire il nostro bisogno/desiderio di una buona compagnia. Più le difese
psicologiche intervengono nella nostra vita di relazione, più nascondiamo ciò
che siamo e agiamo in modi irrazionali e distruttivi. Le persone, come tali,
sono sempre meravigliose, anche se in modi e con sfumature diverse. Le
manifestazioni difensive del carattere sono invece sempre sgradevoli e distruttive,
anche se in modi diversi. Non esistono,
quindi, persone “migliori” di altre, ma persone più o meno “trasparenti”.
In ogni caso, gli altri sono al centro della nostra attenzione, sia quando ci
proponiamo di stabilire un contatto, sia quando ci chiudiamo per paura di un
contatto doloroso.
Uso
a volte il termine “mondo” (nel senso di “mondo personale”) perché implica
l’idea di un insieme di aspetti che costituiscono una soggettività unica. Noi adulti abbiamo la capacità di godere
della contemplazione dei mondi degli altri, di esplorare tali mondi e di fare
del bene ai soggetti che creano tali mondi. Questa è l’intimità degli adulti:
non la infantile “fusione” con un altro essere frainteso come oggetto da
divorare, ma la “comprensione” dell’armonia e delicatezza di una persona “altra
da noi”. Ciò può avvenire nei rapporti di amicizia, di coppia o famigliari e
non deriva da un senso di fame, ma da una “apertura” emotiva nei confronti
degli altri.
Noi
siamo (anche) la nostra storia, e la nostra storia condiziona inevitabilmente
tutto il nostro presente. Essere cresciuti in un luogo o in un altro, aver
fatto certe esperienze o altre, aver compreso in un modo o in un altro la
nostra storia personale, determina molti aspetti del nostro modo di agire e del
nostro modo di sentire. Se abbiamo un buon contatto con noi stessi,
nell’incontro con un'altra persona evitiamo di dare per scontato ciò che scontato
non è. Spesso temiamo dagli altri dei giudizi sprezzanti, ma non a caso temiamo
in genere proprio i giudizi sprezzanti che nell’infanzia produssero sofferenza.
Gli altri, però, sono indipendenti dal nostro passato: potrebbero non
disprezzarci o disprezzarci per motivi che nemmeno immaginiamo. L’approccio
pregiudiziale secondo cui si dà per scontato che gli altri corrispondano ai
nostri privatissimi e particolarissimi sogni o incubi distorce fin dall’inizio
un incontro. E ciò non vale solo nei casi più rozzi e più ovvi dei pregiudizi
sessisti o etnocentrici, ma in generale. Molte persone frustrano il/la partner
in piena incoscienza, magari credendo di contribuire alla crescita del
rapporto: non offrono ciò che renderebbe felice il/la partner, ma ciò che
renderebbe “perfetta” una relazione immaginaria.
Non
è grave il fatto che le persone commettano errori nel comprendere le persone
care, perché gli errori, con l’esperienza, vengono corretti, ma è grave il
fatto che non tentino nemmeno di capire qualcosa e che diano per scontata
un’interpretazione pregiudiziale del/della partner. Incontrare un’altra persona
sul piano emotivo e sessuale comporta sempre la scoperta di aspetti delicati e
appassionanti e per questo chi viene intimamente conosciuto suscita tenerezza.
Tutto ciò, però, si realizza in proporzione alla limpidezza del desiderio di
chi “cerca” ed alla “trasparenza” o “accessibilità” dell’altra persona.
Purtroppo, spesso, se ci avviciniamo alle persone con una sincera disponibilità
a cercare e scoprire i loro “tesori”, ci ritroviamo annoiati o frustrati dalla
massa di difese psicologiche osservate. I mondi interni, infatti, racchiudono sia la reale identità, storia e
consapevolezza delle persone, sia
tutte le bugie costruite difensivamente. La nostra disponibilità a scoprire
“chi sia veramente” una data persona ed il desiderio di avventurarci nel mondo
interno di un’altra persona presuppongono sempre e comunque una piena
accettazione di noi stessi. Se siamo
in pace con noi stessi possiamo aprirci ad un’altra persona, ma se siamo in
fuga da vissuti inquietanti e non elaborati o a caccia di illusioni
rassicuranti, inevitabilmente tendiamo a credere che l’altra persona sia solo ciò
che corrisponde alla nostra fantasia.
La
mia affermazione di un ruolo centrale della sessualità nell’esistenza umana
sembra contraddetta da moltissimi fatti indiscutibili. Non solo dal fatto che
gran parte della sessualità è “finta”, cioè strumentale rispetto ad altri
obiettivi, ma anche dal fatto che molte persone considerano la sessualità poco
importante. Questo è indiscutibile, ma un fatto statistico non dimostra nulla
sulle capacità delle persone. La sessualità consente, grazie all’orgasmo, di “perdere i propri confini” senza attivare
processi dissociativi e quindi di dilatare la propria consapevolezza di
“esserci” e di “essere con” un’altra persona. L’armonia e la gioia possono
essere sperimentate in vari modi: nella contemplazione della natura, dell’arte
e persino della logica e della matematica, o nell’esperienza dell’amicizia, ma
nessuno di questi ambiti offre, come quello della sessualità, la possibilità di
smarrirsi nella bellezza di un’altra persona e di ritrovarsi in una quiete
assoluta e pacificante. Una quiete
dovuta alla resa incondizionata alle
proprie sensazioni ed al/alla partner. L’ambito della sessualità è un
ambito privilegiato di spontaneità e consapevolezza: come tale può essere
accettato nella misura in cui la razionalità prevale sull’irrazionalità, la
ricerca del piacere condiviso prevale sulla fame di rassicurazioni.
Sia
che noi umani siamo delle macchine biologiche molto complesse, sia che siamo
esseri spirituali collocati in un corpo, siamo sicuramente coscienti di essere
noi stessi e cerchiamo gli altri sapendo che sono simili a noi, ma sono altre persone. L’anima è un’ipotesi, ma
la soggettività è un fatto. La selezione naturale è più di un’ipotesi, ma anche
la soggettività è più di un’ipotesi. Ciò che fanno gli altri esseri viventi
semplicemente “accade” e accade necessariamente. Ciò che fanno gli esseri umani,
invece, corrisponde in ogni istante alla loro espressione di una delle tante
possibilità, compresa (purtroppo) quella della rinuncia all’espressione
personale. Per questo motivo, la
sessualità umana non costituisce un capitolo della storia naturale o della
storia sociale: presuppone la biologia e si manifesta sempre in un contesto
sociale, ma ha radici nella coscienza degli esseri umani.
Il
quasi maniacale ossequio all’evoluzionismo è in pratica la versione aggiornata
del naturalismo metafisico. Alle svalutazioni moralistiche dei cattolici che
definiscono “innaturale” la sessualità non procreativa alcuni replicano
osservando che molte manifestazioni della sessualità fra i bonobo (scimmie
antropomorfe) non sembrano finalizzate alla procreazione, come se tale
obiezione fosse pertinente. Se lo fosse, dal fatto che i leoni maschi a volte
uccidono i cuccioli dovremmo trarre giustificazioni dell’infanticidio. Gli esseri umani non possono capire la
propria esistenza finché si ostinano a condannarla o a giustificarla. Lo
studio della sessualità umana inizia, quindi, proprio con la rinuncia alle
svalutazioni etiche ed alle “giustificazioni” evoluzionistiche. La teoria
dell’evoluzione spiega le trasformazioni delle specie, ma non quelle successive
alla comparsa degli esseri umani e della coscienza umana, perché la coscienza
ha affrancato gli esseri umani dalla necessità biologica.
Qui
tocchiamo il nocciolo di una questione fondamentale e al contempo
delicatissima: la sessualità degli esseri umani non solo si colloca al di là
del piano biologico, ma non costituisce nemmeno un semplice “effetto” di
processi sociali, culturali ed educativi.
Infatti, la società ha effetti negativi sulla dimensione interiore delle
persone solo nella misura in cui queste
sono disponibili a dissociarsi e ad “aggrapparsi” al gruppo nel vano
tentativo di trovare (in ritardo) una sensazione di sicurezza mai sperimentata
nell’infanzia. La sessualità degli esseri umani può quindi essere analizzata e
spiegata in quanto fenomeno psicologico
specificamente umano e come espressione delle specifiche potenzialità
individuali, oppure come espressione delle difese psicologiche individuali
costruite in un’infanzia “incompiuta”. Spiegare la sessualità umana con
concetti biologici e con una verniciata di sociologia può essere comodo, ma
confonde solo le idee.
C’è
un libro “terribile” che, a mio parere, dovrebbe essere letto da tutti, perché
pone delle domande “fondamentali”. Il libro di Jared Diamond, Perché il sesso è divertente? (1997),
non aiuta certo a divertirsi di più facendo sesso e semmai rischia di far
passare la voglia. L’autore, biologo, fisiologo e ornitologo di fama mondiale,
ha raccolto in meno di duecento pagine una mole notevole di dati che mostrano
in modo assai accurato come il comportamento sessuale nelle varie specie sia
determinato dalla ferrea legge del “profitto genetico”: un profitto che non
riguarda affatto il piacere dei singoli individui, ma riguarda la sopravvivenza
del gruppo di cui fanno parte. Le attuali conoscenze permettono di spiegare sia
fenomeni di “fedeltà”, sia di “tradimento”, sia fenomeni di “tenerezza”, sia di
crudeltà sulla base del maggior tornaconto possibile per la sopravvivenza delle
varie specie animali. Ovviamente il volume aiuta a capire che la mantide
religiosa non è “cattiva” se uccide e divora il partner dopo la copulazione e
che questi non è uno sciocco che pur di fare sesso corre troppi rischi.
Tuttavia, l’esposizione di fenomeni tanto complessi e “meccanicamente”
selezionati da una “natura indifferente” è desolante se consideriamo solo di
essere una delle 4.300 specie di mammiferi. Le spiegazioni di tanti fatti non
scontati, come l’ovulazione non manifesta della femmina umana, la menopausa
femminile, o l’accudimento congiunto della prole nella specie umana sono
interessantissime, ma irrilevanti per
la comprensione della sessualità umana e dello “spreco di sessualità” negli
esseri umani.
Nelle
altre specie, i maschi e le femmine sembrano fare di tutto solo per procreare e
il piacere sessuale in alcune specie, compresa la nostra, sembra comprensibile
solo in relazione al fatto che le femmine hanno un’ovulazione non manifesta e
sono costantemente recettive (J. Diamond, 1997, p. 130). La cosa è abbastanza
chiara, ma irrilevante, perché ad un certo punto della lunga evoluzione della
fisiologia umana è “affiorata” la coscienza di fare sesso e di farlo con
un’altra persona, cioè con un altro soggetto. Potremmo anche provare piacere
nelle orecchie e procreare con i gomiti, ma anche in tal caso, nell’incontro
piacevole (sessuale o non sessuale) con un’altra persona saremmo coscienti, a
differenza degli altri mammiferi, di provare piacere e saremmo grati a chi
condivide il nostro piacere e ci permette di accedere al “mondo” costituito
dalla sua soggettività, unica fra le tante.
Non
è la fisiologia sessuale che ci rende capaci di un erotismo specificamente
umano, ma proprio la consapevolezza del piacere cercato e realizzato con un’altra persona. La fisiologia può
anche spiegare lo sviluppo della coscienza, ma poi proprio la coscienza ci
consente di ricordare, immaginare, decidere, desiderare, temere e amare (e
persino di costruire i concetti teorici della fisiologia). Purtroppo, la
coscienza ci consente anche di esprimere una sessualità limitata o distruttiva.
Per questo motivo la coscienza e la coscienza di essere coscienti rende
possibile l’avventura di esistere come persone e anche di fare sesso in modi
umanamente espressivi (irriducibili alla sessualità di altre specie) o in modi
difensivi e quindi irrazionali e distruttivi (pure non assimilabili alla
sessualità di altre specie). Nella sessualità umana ogni sensazione, pensiero,
azione dipende dal modo in cui le persone si concepiscono e dal modo in cui
scelgono di trattare il/la partner in generale.
I
nostri scambi erotici non sono mai “elementari” come quelli di tanti animali
fisiologicamente simili a noi, ma possono anche essere assurdi, se confrontati
con quelli degli animali che restano almeno coerenti con i “fini” della
selezione naturale. Nella nostra specie (e solo nella nostra specie) la
sessualità può essere un incubo e tutte le forme di manipolazione o rifiuto o
distacco o pseudo-attaccamento costituiscono fatti che non dipendono dalla
“natura” (fisica o metafisica) o dalla cultura, ma dai progetti esistenziali difensivi
avviati nell’infanzia. Se una radiazione spaziale alterasse tutti i meccanismi
della fisiologia umana, gli esseri umani continuerebbero in altri modi a
costruire intimità ed a goderne oppure a sfruttare psicologicamente i propri
oggetti sessuali evitando di trattarli come soggetti. Gli esseri umani possono
far sesso lasciandosi andare al corpo e soprattutto alla “semplice presenza”
del/della partner, ma possono anche “condurre la danza dell’amplesso” al ritmo
di un martello pneumatico o “concedersi” senza partecipazione sperando che
tutto finisca presto. Proprio questa capacità di collocare ogni gesto e ogni
azione in un progetto di vita rende le nostre relazioni interpersonali (in
assenza di difese psicologiche) qualitativamente diverse da quelle degli altri
animali.
Se
confrontiamo senza pregiudizi gli ordinamenti gerarchici degli animali che
vivono in branco e quelli degli esseri umani, siamo facilmente presi dallo
sconforto: i gruppi umani sono infinitamente più complessi, ma la selezione dei
capi, nelle comunità umane, in genere premia proprio i meno adatti. Infatti, se
dalla storia dell’umanità togliessimo le vicende delle società guidate da
incapaci e criminali resteremmo davvero con pochi eventi su cui riflettere. E
ciò non si spiega con il caso o con la malvagità dei potenti, dato che in ogni
epoca i gruppi di potere sono riusciti a “prevalere” proprio grazie
all’irrazionalità di interi popoli indifferenti, complici o sottomessi. Certi
animali hanno una grande capacità di mimetizzarsi, ma sempre per delle buone
ragioni. Solo gli esseri umani riescono a “mimetizzarsi” per rispettare le
regole della cosiddetta “alta moda” o di quella “bassa moda” costituita da
tatuaggi, anelli e chiodi piantati in varie parti del corpo o abiti
appositamente prodotti con degli strappi. Se aggiungiamo alla lista i “veli
femminili” della religione islamica, i turbanti e le papaline “maschili” e i
vari abiti religiosi o da cerimonia dobbiamo interrogarci seriamente sugli
sviluppi più recenti dell’evoluzione della nostra specie.
Il
passaggio dalla natura alla cultura sembra in molti casi un salto nel buio
dell’incoscienza più che l’avventura della coscienza. L’abilità con cui certi
animali riescono a risolvere problemi pratici è sicuramente modesta, se
paragonata a quella con cui gli esseri umani risolvono problemi pratici molto
più complessi utilizzando teorie sofisticate, ma non capita mai che le
“scoperte” degli altri animali si traducano in strategie di distruzione
paragonabili a quelle che hanno condotto all’Olocausto o al bombardamento di
Hiroshima e Nagasaki. Ora, se le capacità della specie umana sono inquietanti
(perché superiori “tecnicamente” a quelle di altre specie animali, ma in molti
casi del tutto assurde), la “capacità di intimità” degli esseri umani ha esiti altrettanto stupefacenti o sconfortanti. La capacità di intimità degli adulti umani è meravigliosa, ma in genere è
semplicemente sostituita dalla capacità di simulare intimità per pretendere la realizzazione di sogni del tutto
irrealizzabili. Per questo motivo un discorso sulla sessualità umana non può
essere separato da un più ampio esame dell'espressione e della repressione delle potenzialità umane.