venerdì 13 luglio 2018

13. Dal bisogno del contatto al piacere del contatto







La sessualità costituisce l’ambito in cui l’avventura dell’incontro con un’altra soggettività è, o almeno può essere, più intensa. Il contatto fisico nella sessualità è più piacevole e intimo di quanto possa essere in qualsiasi altro rapporto interpersonale e, se non intervengono chiusure psicologiche, nella sessualità il mondo interno del/della partner può essere esplorato più che nei rapporti di amicizia, di collaborazione, di condivisione o di affinità intellettuale. Inoltre, nel rapporto sessuale la reciprocità può essere completa, mentre ciò non si verifica in rapporti anche molto intensi di altro tipo (fra genitori e figli o fra esseri umani ed altri animali). Ciò non significa, purtroppo, che la sessualità sia sempre un’esperienza realmente intensa, ma significa che essa ha un ruolo centrale nell’esistenza personale perché essa, più di altre esperienze, consente agli esseri umani di trascendere la loro soggettività ed il piano della sopravvivenza. Anche se la sessualità ha reso possibile la sopravvivenza della specie umana, per i singoli esseri umani è semplicemente l’ambito del piacere, della conoscenza, dell’amore, della complicità, del gioco e dell’avventura di esistere.
La sessualità è normalmente repressa: lo è sia nei casi in cui il desiderio sessuale è bloccato o poco percepito, sia nei casi in cui è “ristretto” alla scarica di una tensione. In casi più rari è repressa, paradossalmente, proprio perché viene valorizzata in quanto dimostrazione di un ruolo sociale idealizzato. Le tante persone che hanno “cose più importanti a cui pensare”, o che “hanno bisogno di uno sfogo” o che fanno sesso per sentirsi affascinanti, reprimono la propria sessualità: nel primo caso indeboliscono il desiderio sessuale, nel secondo caso lo rendono esclusivamente fisico e nel terzo caso lo usano per soddisfare il bisogno infantile di stare “al centro dell’attenzione”. In tutti i casi in cui la sessualità è repressa è anche svalutata.
L’esperienza della sessualità è in genere temuta e svalutata per un solo motivo: fin dall’infanzia gli esseri umani sperimentano nella famiglia il rifiuto quando cercano il piacere, o almeno quando non si limitano a godere di qualcosa nei limiti, nei tempi e nelle modalità compatibili con le chiusure mentali ed emozionali dei genitori. Lo svezzamento brusco, la derisione dei bambini “appiccicosi”, il disprezzo per il pianto, per la curiosità e per le manifestazioni di entusiasmo ostacolano l’espressione del potenziale personale nell’infanzia e rendono necessarie le difese psicologiche. Frasi come “Smettila, non dare fastidio!”, oppure “Vergognati!”, oppure “Capirai queste cose da grande!”, oppure “Sei cattivo/a!”, oppure “Prima il dovere e poi il piacere” suggeriscono ai bambini che, se restano ciò che sono, perderanno la sicurezza dell’amore. In realtà, tali espressioni verbali indicano che l’amore è già assente o scarso, ma i bambini preferiscono credere di poter meritare l’amore rinunciando alla propria identità. I bambini imparano presto a dissociarsi dal rifiuto intollerabile dei genitori e, divenuti adulti, continuano a temere di “esporsi” quando il rifiuto può essere particolarmente doloroso. Da ciò deriva il normale terrore della sessualità. In realtà, i bambini e gli adulti non hanno alcun terrore della sessualità in quanto tale, ma temono semplicemente di lasciarsi andare nell’intimità, come hanno già fatto (dolorosamente) da piccoli, con i genitori. Le più diffuse concezioni della sessualità sono razionalizzazioni di difese psicologiche e le due concezioni che maggiormente ostacolano la comprensione della sessualità degli esseri umani sono (con mille sfumature) quella “strumentale” e quella “riduttiva”. Tali concezioni, in modi opposti, riflettono la stessa profonda svalutazione del piacere.
Nelle concezioni “strumentali” il sesso è considerato importante in quanto mezzo adatto al perseguimento di fini “elevati”. Viene quindi accettato in quanto aspetto subordinato a ciò che ha davvero “valore”, ma viene svalutato in quanto esperienza intima e  piacevole. Poco cambia, quindi, se la “giustificazione” del sesso riguarda la procreazione, la formazione di un nucleo famigliare, o la realizzazione di una profonda armonia “spirituale”. Di fatto, chi scuote la testa affermando che una certa persona “pensa solo a quello” o “non ha intenzioni serie” implica che la ricerca del piacere sessuale sganciata da qualche tipo di “impegno” (matrimoniale, religioso o psicologico), sia inaccettabile o “sporca”. Tali concezioni svalutative sono completamente irrazionali. Infatti, nessuno storce il naso se vede un bambino che “si limita” a giocare a palla senza proporsi di verificare le leggi fisiche del moto o che “si limita” a giocare a nascondino senza avere in mente di allenarsi per diventare un agente segreto. Perché il puro piacere del gioco di un bambino può essere “puro”, mentre il piacere sessuale non può essere “puro” se non costituisce la premessa di realizzazioni ulteriori? Perché il piacere della lettura di un romanzo è ritenuto “serio” anche se il lettore è un medico che non ha alcuna intenzione di laurearsi in letteratura, mentre il piacere di un orgasmo risulta serio solo come contributo alla procreazione? Queste domande semplici non hanno alcuna risposta e tutte le risposte disponibili costituiscono solo versioni intellettualizzate di un disgusto irrazionale per il piacere sessuale. Tale disgusto ben difficilmente può essere spiegato se non si prende in considerazione il terrore dei bambini di essere squalificati o respinti dai genitori per le loro “eccessive” esigenze affettive. I genitori che pretendono qualcosa dai figli non desiderano che i figli siano prima di tutto felici, ma pretendono che facciano un mucchio di cose che non hanno molto a che fare con il piacere. Non è solo l’esplicita repressione dei giochi sessuali a generare nei bambini la svalutazione del sesso, ma proprio la complessiva svalutazione del piacere e di ciò che non è ritenuto “utile” o “giusto” dai genitori.
Nelle concezioni che etichetto come “riduttive”, la sessualità è ridotta a meccanismo fisiologico. Anche se è ritenuta emotivamente significativa, viene considerata come l’espressione di un’emotività a sua volta ridotta a fisiologia. Di fatto, qualsiasi spiegazione del comportamento sessuale umano basato su criteri etologici, evolutivi, biologici o “energetici”, anche se coglie elementi marginali, fallisce nel mettere a fuoco l’aspetto più importante del rapporto sessuale: gli esseri umani, in quanto esseri coscienti ed autocoscienti, non si limitano ad “accoppiarsi”, ma cercano (o evitano, per paura) l’intimità, la complicità, la sintonia. Il potenziale espressivo della sessualità umana, anche in una semplice “avventura”, è di un altro ordine rispetto a quello degli altri animali. Noi cerchiamo un/una partner compatibile con le nostre aspettative psicologiche (o almeno siamo potenzialmente in grado di farlo), mentre leoni e lupi cercano un/una partner compatibile con “le aspettative della selezione naturale” e solo in alcuni casi e in qualche misura provano anche un coinvolgimento emotivo. Possiamo ricorrere a Darwin per spiegare alcune forme di attrazione o repulsione sessuale fra animali, ma l’esperienza dell’intimità sessuale trascende qualsiasi spiegazione evolutiva, così come le frequenti forme di manipolazione, inganno e conflittualità nelle relazioni di coppia non si spiegano in base agli “obiettivi” della specie, perché si spiegano solo in base alle difese psicologiche. Per questo motivo, la sessualità umana (anche quella non “giustificata”da scopi “elevati”) rientra nell’ambito espressivo dell’avventura di esistere. Le concezioni secondo cui fare sesso è come bere un bicchier d’acqua scandalizzano i moralisti, ma in fondo condividono con le concezioni etiche l’idea che il sesso non costituisca un ambito privilegiato di espressione delle potenzialità umane.
La sessualità umana è essenzialmente un campo di possibilità istituito dalla coscienza, dall’autocoscienza e dall’esigenza di un contatto e di un incontro. Per ora voglio solo sottolineare che le concezioni “strumentali” e quelle "riduttive" servono a disconoscere l’avventura specificamente umana della ricerca consapevole del piacere nel contatto interpersonale. In realtà ho semplificato le cose mettendo in evidenza queste due basilari letture svalutative della ricerca del piacere sessuale, dato che la svalutazione della sessualità può declinarsi in molti modi. Di fatto gli atteggiamenti esplicitamente o implicitamente svalutativi riguardanti il piacere sessuale sono moltissimi e possono anche intrecciarsi in vari modi, ma limitano comunque la libertà di una compiuta espressione del potenziale personale.
Al di là delle varie operazioni ideologiche volte a giustificare e consolidare la normale devastazione della sessualità umana, resta il fatto che il piacere del contatto fisico, emotivo e sessuale sta alla base della gioia di vivere e della felicità possibile agli esseri umani (cfr. Montagu, 1971). La sessualità umana è centrale nella dimensione soggettiva ed in quella relazionale delle persone. Il piacere del contatto inizia con la nascita e con la ricerca del seno, quindi con un riflesso. L’inizio, ovviamente, è rudimentale perché la consapevolezza di sé di un neonato è davvero minima, ma proprio nei primi minuti di vita tale consapevolezza inizia a prendere forma. L’idea che l’allattamento sia “solo alimentazione” è semplicemente errata e trascura il fatto che proprio la mancanza di competenze intellettive del neonato (associata alla sua capacità di provare sensazioni intense) rende l’allattamento non solo importante per la sopravvivenza, ma per il consolidamento delle basilari sensazioni di sicurezza. Dopo la poppata il neonato si rilassa, scarica completamente la tensione con quel tremito che lo scuote dalla bocca alla pelvi (e che costituisce “l’orgasmo orale”) e fa la nanna, completamente pacificato. L’esperienza è “assoluta”, meravigliosa, profondamente umana, non richiede alcuna “spiegazione spirituale” e non è riducibile ad un “meccanismo fisiologico”, perché getta le basi della coscienza di sé. Costituisce l’inizio dell’intera esistenza personale, di una soggettività unica nell’universo e di una serie di relazioni che avranno conseguenze su tutta la storia dell’umanità. Tale inizio è caratterizzato dal bisogno di contatto e tale bisogno permane negli anni dell’infanzia, anche se gradualmente si attenua, fino a cambiare radicalmente nell’adolescenza. In questa fase il desiderio del contatto gradualmente sostituisce il bisogno del contatto. Nella vita adulta, purtroppo, permangono spesso sensazioni infantili di bisogno che complicano l'espressione della sessualità.
L’inizio (rudimentale ma “travolgente”) del piacere e quindi della sessualità diventa nella vita adulta ricerca consapevole di buone relazioni, che possono essere “buone” proprio nella misura in cui risultano piacevoli, armoniose, libere, intense. Per comprendere il piacere del contatto fisico ed emotivo degli adulti, e quindi anche e soprattutto il piacere del contatto sessuale, è indispensabile tener presente che tale piacere si realizza fra due esseri che sono coscienti e che hanno una storia. Il contatto fisico è bellissimo e intenso anche fra gli animali (non fra i coleotteri, ma sicuramente fra le scimmie, i cani o altri animali sociali), ma negli esseri umani implica una consapevolezza particolare del piacere e della relazione. In questo senso la bellezza del contatto fisico ed emotivo fra esseri autocoscienti è unica e per riconoscere tale unicità dobbiamo tener presente tutta la dimensione soggettiva e interpersonale. Non abbiamo motivi razionali per spiegare ciò sulla base di ipotetici piani spirituali o per ridurre tale ambito a quello dei nervi e dei vasi sanguigni.
Solo i pregiudizi moralistici (e quindi il terrore infantile di espressioni libere della ricerca del contatto) portano ad irrazionali esigenze di “giustificare” il piacere sessuale. Non è concepibile una sola ragione per considerare “tenero” il gesto di un bambino che protende le braccia verso la madre o il padre, per considerare “caldo” o “generoso” il gesto di chi accarezza il viso di una persona anziana e per considerare “inopportuno” o “offensivo” o “egoistico” un garbato invito erotico manifestato prima dei tempi socialmente stabiliti. Si può obiettare che l’invito erotico ad una persona appena conosciuta si riduce ad un desiderio di contatto “puramente fisico”, ma in questo modo si trascura il fatto che è molto più “rudimentale” il gesto di un bambino di pochi mesi verso la mamma di quello di chi corteggia una persona appena conosciuta, dato che in questo caso è comunque presente un apprezzamento (forse minimo, ma non irrilevante) del suo “modo di fare e di essere”. Purtroppo, ciò che non viene normalmente riconosciuto è il fatto che chi parla di “profondità”, “autenticità” e "rispetto", non ha alcun rispetto per ciò che è davvero profondo ed autentico nella vita delle persone: l’incontro, il piacere di stare vicini in questo grande universo in cui ci troviamo smarriti e confusi e in cui solo i nostri simili possono offrirci sicurezza (nell’infanzia) o compassione, complicità e piacevole intimità (nella vita adulta).
Ciò che va quindi sottolineato, e che approfondirò nei prossimi capitoli, è il fatto che il desiderio sessuale costituisce negli esseri umani un’espressione particolarmente intensa di ciò che le persone sono e un’espressione particolarmente intensa dell’esigenza di dilatare la sfera della soggettività fino al contatto con la soggettività di un’altra persona. L’esigenza di trascendere la dimensione soggettiva costruendo una relazione coincide, quindi, con l’esigenza di esistere umanamente, dato che proprio nel contatto fisico, emotivo e anche sessuale le persone trovano ed esprimono ciò che non si riduce alla sopravvivenza. In questa trascendenza non viene espresso il bisogno (infantile) di un contatto nutriente e rassicurante, ma viene cercato il piacere dell’incontro con un oggetto percepito come portatore di un’altra soggettività. Questo è un fatto, non una congettura o un dogma. Nessun viaggio esotico può essere più avventuroso dell’esplorazione del mondo interiore di una persona con cui si fa l’amore, se i due amanti non sono “impegnati” a fingere di essere bambini complicati o sottomessi o perfetti o confusi.
L’avventura dell’intimità è un tuffo, un volo, una creazione e non è quindi un semplice comportamento geneticamente programmato. L’attrazione sessuale non è mai “solo fisica”, perché gli esseri umani non sono “solo fisici”. Le persone “portano a spasso” la loro soggettività anche nel modo di camminare, di sorridere, di utilizzare le parole, di tenere le distanze e di accorciare le distanze. Chiunque sicuramente ha conosciuto delle persone fisicamente più che apprezzabili, ritenute “oggettivamente desiderabili”, ma non percepite come desiderabili. Solo gravi dissociazioni psicologiche possono rendere un uomo o una donna attratto/a da qualsiasi partner “accettabile e disponibile”. La “diffusione” della soggettività in ogni movimento corporeo rende la sessualità un’esperienza non necessariamente riconducibile ad un ipotetico piano spirituale, ma sicuramente non riducibile al piano fisico-biologico. Le persone in ogni gesto esprimono tutta la loro storia, tutto ciò che hanno capito e sentito (o frainteso) nella loro storia e tutto ciò che si propongono di realizzare (o di distruggere) negli anni a venire. Persino il dialogo interno è relazionale e trascendente: se con noi stessi considerassimo solo ciò che desideriamo fare da soli e progettassimo di creare qualcosa da contemplare in solitudine, saremmo completamente fuori di testa. Il dialogo interno inizia con l’esame dei desideri (soprattutto dei desideri di contatto e di relazione), si sviluppa con il resoconto delle gratificazioni e delle frustrazioni create o ottenute, giunge all’accettazione della gioia e del dolore e si traduce in scelte e progetti. Persino chi vive nel peggior egocentrismo conduce un dialogo interno difensivo che presuppone il desiderio (negato) degli altri.
Noi siamo esseri sociali e possiamo relazionarci con gli altri in modi espressivi o difensivi, ma non abbiamo l’opzione di prescindere dagli altri. Viviamo fondamentalmente per farci buona compagnia. Purtroppo a questo bisogno/desiderio di contatto si aggiunge la paura (“antica”) di un contatto doloroso e quindi viviamo spesso proprio per non sentire il nostro bisogno/desiderio di una buona compagnia. Più le difese psicologiche intervengono nella nostra vita di relazione, più nascondiamo ciò che siamo e agiamo in modi irrazionali e distruttivi. Le persone, come tali, sono sempre meravigliose, anche se in modi e con sfumature diverse. Le manifestazioni difensive del carattere sono invece sempre sgradevoli e distruttive, anche se in modi diversi. Non esistono, quindi, persone “migliori” di altre, ma persone più o meno “trasparenti”. In ogni caso, gli altri sono al centro della nostra attenzione, sia quando ci proponiamo di stabilire un contatto, sia quando ci chiudiamo per paura di un contatto doloroso.
Uso a volte il termine “mondo” (nel senso di “mondo personale”) perché implica l’idea di un insieme di aspetti che costituiscono una soggettività unica. Noi adulti abbiamo la capacità di godere della contemplazione dei mondi degli altri, di esplorare tali mondi e di fare del bene ai soggetti che creano tali mondi. Questa è l’intimità degli adulti: non la infantile “fusione” con un altro essere frainteso come oggetto da divorare, ma la “comprensione” dell’armonia e delicatezza di una persona “altra da noi”. Ciò può avvenire nei rapporti di amicizia, di coppia o famigliari e non deriva da un senso di fame, ma da una “apertura” emotiva nei confronti degli altri.
Noi siamo (anche) la nostra storia, e la nostra storia condiziona inevitabilmente tutto il nostro presente. Essere cresciuti in un luogo o in un altro, aver fatto certe esperienze o altre, aver compreso in un modo o in un altro la nostra storia personale, determina molti aspetti del nostro modo di agire e del nostro modo di sentire. Se abbiamo un buon contatto con noi stessi, nell’incontro con un'altra persona evitiamo di dare per scontato ciò che scontato non è. Spesso temiamo dagli altri dei giudizi sprezzanti, ma non a caso temiamo in genere proprio i giudizi sprezzanti che nell’infanzia produssero sofferenza. Gli altri, però, sono indipendenti dal nostro passato: potrebbero non disprezzarci o disprezzarci per motivi che nemmeno immaginiamo. L’approccio pregiudiziale secondo cui si dà per scontato che gli altri corrispondano ai nostri privatissimi e particolarissimi sogni o incubi distorce fin dall’inizio un incontro. E ciò non vale solo nei casi più rozzi e più ovvi dei pregiudizi sessisti o etnocentrici, ma in generale. Molte persone frustrano il/la partner in piena incoscienza, magari credendo di contribuire alla crescita del rapporto: non offrono ciò che renderebbe felice il/la partner, ma ciò che renderebbe “perfetta” una relazione immaginaria.
Non è grave il fatto che le persone commettano errori nel comprendere le persone care, perché gli errori, con l’esperienza, vengono corretti, ma è grave il fatto che non tentino nemmeno di capire qualcosa e che diano per scontata un’interpretazione pregiudiziale del/della partner. Incontrare un’altra persona sul piano emotivo e sessuale comporta sempre la scoperta di aspetti delicati e appassionanti e per questo chi viene intimamente conosciuto suscita tenerezza. Tutto ciò, però, si realizza in proporzione alla limpidezza del desiderio di chi “cerca” ed alla “trasparenza” o “accessibilità” dell’altra persona. Purtroppo, spesso, se ci avviciniamo alle persone con una sincera disponibilità a cercare e scoprire i loro “tesori”, ci ritroviamo annoiati o frustrati dalla massa di difese psicologiche osservate. I mondi interni, infatti, racchiudono sia la reale identità, storia e consapevolezza delle persone, sia tutte le bugie costruite difensivamente. La nostra disponibilità a scoprire “chi sia veramente” una data persona ed il desiderio di avventurarci nel mondo interno di un’altra persona presuppongono sempre e comunque una piena accettazione di noi stessi. Se siamo in pace con noi stessi possiamo aprirci ad un’altra persona, ma se siamo in fuga da vissuti inquietanti e non elaborati o a caccia di illusioni rassicuranti, inevitabilmente tendiamo a credere che l’altra persona sia solo ciò che corrisponde alla nostra fantasia.
La mia affermazione di un ruolo centrale della sessualità nell’esistenza umana sembra contraddetta da moltissimi fatti indiscutibili. Non solo dal fatto che gran parte della sessualità è “finta”, cioè strumentale rispetto ad altri obiettivi, ma anche dal fatto che molte persone considerano la sessualità poco importante. Questo è indiscutibile, ma un fatto statistico non dimostra nulla sulle capacità delle persone. La sessualità consente, grazie all’orgasmo, di “perdere i propri confini” senza attivare processi dissociativi e quindi di dilatare la propria consapevolezza di “esserci” e di “essere con” un’altra persona. L’armonia e la gioia possono essere sperimentate in vari modi: nella contemplazione della natura, dell’arte e persino della logica e della matematica, o nell’esperienza dell’amicizia, ma nessuno di questi ambiti offre, come quello della sessualità, la possibilità di smarrirsi nella bellezza di un’altra persona e di ritrovarsi in una quiete assoluta e pacificante. Una quiete dovuta alla resa incondizionata alle proprie sensazioni ed al/alla partner. L’ambito della sessualità è un ambito privilegiato di spontaneità e consapevolezza: come tale può essere accettato nella misura in cui la razionalità prevale sull’irrazionalità, la ricerca del piacere condiviso prevale sulla fame di rassicurazioni.
Sia che noi umani siamo delle macchine biologiche molto complesse, sia che siamo esseri spirituali collocati in un corpo, siamo sicuramente coscienti di essere noi stessi e cerchiamo gli altri sapendo che sono simili a noi, ma sono altre persone. L’anima è un’ipotesi, ma la soggettività è un fatto. La selezione naturale è più di un’ipotesi, ma anche la soggettività è più di un’ipotesi. Ciò che fanno gli altri esseri viventi semplicemente “accade” e accade necessariamente. Ciò che fanno gli esseri umani, invece, corrisponde in ogni istante alla loro espressione di una delle tante possibilità, compresa (purtroppo) quella della rinuncia all’espressione personale. Per questo motivo, la sessualità umana non costituisce un capitolo della storia naturale o della storia sociale: presuppone la biologia e si manifesta sempre in un contesto sociale, ma ha radici nella coscienza degli esseri umani.
Il quasi maniacale ossequio all’evoluzionismo è in pratica la versione aggiornata del naturalismo metafisico. Alle svalutazioni moralistiche dei cattolici che definiscono “innaturale” la sessualità non procreativa alcuni replicano osservando che molte manifestazioni della sessualità fra i bonobo (scimmie antropomorfe) non sembrano finalizzate alla procreazione, come se tale obiezione fosse pertinente. Se lo fosse, dal fatto che i leoni maschi a volte uccidono i cuccioli dovremmo trarre giustificazioni dell’infanticidio. Gli esseri umani non possono capire la propria esistenza finché si ostinano a condannarla o a giustificarla. Lo studio della sessualità umana inizia, quindi, proprio con la rinuncia alle svalutazioni etiche ed alle “giustificazioni” evoluzionistiche. La teoria dell’evoluzione spiega le trasformazioni delle specie, ma non quelle successive alla comparsa degli esseri umani e della coscienza umana, perché la coscienza ha affrancato gli esseri umani dalla necessità biologica.
Qui tocchiamo il nocciolo di una questione fondamentale e al contempo delicatissima: la sessualità degli esseri umani non solo si colloca al di là del piano biologico, ma non costituisce nemmeno un semplice “effetto” di processi sociali, culturali ed educativi. Infatti, la società ha effetti negativi sulla dimensione interiore delle persone solo nella misura in cui queste sono disponibili a dissociarsi e ad “aggrapparsi” al gruppo nel vano tentativo di trovare (in ritardo) una sensazione di sicurezza mai sperimentata nell’infanzia. La sessualità degli esseri umani può quindi essere analizzata e spiegata in quanto fenomeno psicologico specificamente umano e come espressione delle specifiche potenzialità individuali, oppure come espressione delle difese psicologiche individuali costruite in un’infanzia “incompiuta”. Spiegare la sessualità umana con concetti biologici e con una verniciata di sociologia può essere comodo, ma confonde solo le idee.
C’è un libro “terribile” che, a mio parere, dovrebbe essere letto da tutti, perché pone delle domande “fondamentali”. Il libro di Jared Diamond, Perché il sesso è divertente? (1997), non aiuta certo a divertirsi di più facendo sesso e semmai rischia di far passare la voglia. L’autore, biologo, fisiologo e ornitologo di fama mondiale, ha raccolto in meno di duecento pagine una mole notevole di dati che mostrano in modo assai accurato come il comportamento sessuale nelle varie specie sia determinato dalla ferrea legge del “profitto genetico”: un profitto che non riguarda affatto il piacere dei singoli individui, ma riguarda la sopravvivenza del gruppo di cui fanno parte. Le attuali conoscenze permettono di spiegare sia fenomeni di “fedeltà”, sia di “tradimento”, sia fenomeni di “tenerezza”, sia di crudeltà sulla base del maggior tornaconto possibile per la sopravvivenza delle varie specie animali. Ovviamente il volume aiuta a capire che la mantide religiosa non è “cattiva” se uccide e divora il partner dopo la copulazione e che questi non è uno sciocco che pur di fare sesso corre troppi rischi. Tuttavia, l’esposizione di fenomeni tanto complessi e “meccanicamente” selezionati da una “natura indifferente” è desolante se consideriamo solo di essere una delle 4.300 specie di mammiferi. Le spiegazioni di tanti fatti non scontati, come l’ovulazione non manifesta della femmina umana, la menopausa femminile, o l’accudimento congiunto della prole nella specie umana sono interessantissime, ma irrilevanti per la comprensione della sessualità umana e dello “spreco di sessualità” negli esseri umani.
Nelle altre specie, i maschi e le femmine sembrano fare di tutto solo per procreare e il piacere sessuale in alcune specie, compresa la nostra, sembra comprensibile solo in relazione al fatto che le femmine hanno un’ovulazione non manifesta e sono costantemente recettive (J. Diamond, 1997, p. 130). La cosa è abbastanza chiara, ma irrilevante, perché ad un certo punto della lunga evoluzione della fisiologia umana è “affiorata” la coscienza di fare sesso e di farlo con un’altra persona, cioè con un altro soggetto. Potremmo anche provare piacere nelle orecchie e procreare con i gomiti, ma anche in tal caso, nell’incontro piacevole (sessuale o non sessuale) con un’altra persona saremmo coscienti, a differenza degli altri mammiferi, di provare piacere e saremmo grati a chi condivide il nostro piacere e ci permette di accedere al “mondo” costituito dalla sua soggettività, unica fra le tante.
Non è la fisiologia sessuale che ci rende capaci di un erotismo specificamente umano, ma proprio la consapevolezza del piacere cercato e realizzato con un’altra persona. La fisiologia può anche spiegare lo sviluppo della coscienza, ma poi proprio la coscienza ci consente di ricordare, immaginare, decidere, desiderare, temere e amare (e persino di costruire i concetti teorici della fisiologia). Purtroppo, la coscienza ci consente anche di esprimere una sessualità limitata o distruttiva. Per questo motivo la coscienza e la coscienza di essere coscienti rende possibile l’avventura di esistere come persone e anche di fare sesso in modi umanamente espressivi (irriducibili alla sessualità di altre specie) o in modi difensivi e quindi irrazionali e distruttivi (pure non assimilabili alla sessualità di altre specie). Nella sessualità umana ogni sensazione, pensiero, azione dipende dal modo in cui le persone si concepiscono e dal modo in cui scelgono di trattare il/la partner in generale.
I nostri scambi erotici non sono mai “elementari” come quelli di tanti animali fisiologicamente simili a noi, ma possono anche essere assurdi, se confrontati con quelli degli animali che restano almeno coerenti con i “fini” della selezione naturale. Nella nostra specie (e solo nella nostra specie) la sessualità può essere un incubo e tutte le forme di manipolazione o rifiuto o distacco o pseudo-attaccamento costituiscono fatti che non dipendono dalla “natura” (fisica o metafisica) o dalla cultura, ma dai progetti esistenziali difensivi avviati nell’infanzia. Se una radiazione spaziale alterasse tutti i meccanismi della fisiologia umana, gli esseri umani continuerebbero in altri modi a costruire intimità ed a goderne oppure a sfruttare psicologicamente i propri oggetti sessuali evitando di trattarli come soggetti. Gli esseri umani possono far sesso lasciandosi andare al corpo e soprattutto alla “semplice presenza” del/della partner, ma possono anche “condurre la danza dell’amplesso” al ritmo di un martello pneumatico o “concedersi” senza partecipazione sperando che tutto finisca presto. Proprio questa capacità di collocare ogni gesto e ogni azione in un progetto di vita rende le nostre relazioni interpersonali (in assenza di difese psicologiche) qualitativamente diverse da quelle degli altri animali.
Se confrontiamo senza pregiudizi gli ordinamenti gerarchici degli animali che vivono in branco e quelli degli esseri umani, siamo facilmente presi dallo sconforto: i gruppi umani sono infinitamente più complessi, ma la selezione dei capi, nelle comunità umane, in genere premia proprio i meno adatti. Infatti, se dalla storia dell’umanità togliessimo le vicende delle società guidate da incapaci e criminali resteremmo davvero con pochi eventi su cui riflettere. E ciò non si spiega con il caso o con la malvagità dei potenti, dato che in ogni epoca i gruppi di potere sono riusciti a “prevalere” proprio grazie all’irrazionalità di interi popoli indifferenti, complici o sottomessi. Certi animali hanno una grande capacità di mimetizzarsi, ma sempre per delle buone ragioni. Solo gli esseri umani riescono a “mimetizzarsi” per rispettare le regole della cosiddetta “alta moda” o di quella “bassa moda” costituita da tatuaggi, anelli e chiodi piantati in varie parti del corpo o abiti appositamente prodotti con degli strappi. Se aggiungiamo alla lista i “veli femminili” della religione islamica, i turbanti e le papaline “maschili” e i vari abiti religiosi o da cerimonia dobbiamo interrogarci seriamente sugli sviluppi più recenti dell’evoluzione della nostra specie.
Il passaggio dalla natura alla cultura sembra in molti casi un salto nel buio dell’incoscienza più che l’avventura della coscienza. L’abilità con cui certi animali riescono a risolvere problemi pratici è sicuramente modesta, se paragonata a quella con cui gli esseri umani risolvono problemi pratici molto più complessi utilizzando teorie sofisticate, ma non capita mai che le “scoperte” degli altri animali si traducano in strategie di distruzione paragonabili a quelle che hanno condotto all’Olocausto o al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Ora, se le capacità della specie umana sono inquietanti (perché superiori “tecnicamente” a quelle di altre specie animali, ma in molti casi del tutto assurde), la “capacità di intimità” degli esseri umani ha esiti altrettanto stupefacenti o sconfortanti. La capacità di intimità degli adulti umani è meravigliosa, ma in genere è semplicemente sostituita dalla capacità di simulare intimità per pretendere la realizzazione di sogni del tutto irrealizzabili. Per questo motivo un discorso sulla sessualità umana non può essere separato da un più ampio esame dell'espressione e della repressione delle potenzialità umane.