venerdì 13 luglio 2018

15. Piacere e intimità







La sessualità non è solo l’ambito elettivo della “trascendenza” dalla propria soggettività a quella di un’altra persona, ma è anche l’ambito in cui tale apertura psicologica si realizza attraverso un contatto fisico molto particolare: il piacere del contatto aumenta fino a diventare un’eccitazione “intollerabile”, poi l’eccitazione viene “spezzata” dai movimenti involontari dell’orgasmo e trasformata in un piacere molto diverso da quello “crescente” dei preliminari e descrivibile come una quiete assoluta dopo la tempesta. In questo processo, il desiderio soggettivo di un contatto fisico eccitante diventa contatto tenero con un soggetto incontrato “al di là” della sua fisicità, o almeno “al confine” della sua fisicità. Per questo, l’esperienza del piacere condiviso con l’oggetto desiderato diventa una resa al soggetto “trovato”. Proprio l’orgasmo placa l’eccitazione divenuta tanto intensa da “reclamare” un acquietamento. Nella quiete successiva all’orgasmo l’appagamento consiste nella piacevole sensazione di non avere “confini”, di essere assieme al/alla partner in un “tutto” che è a posto da sempre e per sempre. L’antica idea secondo cui dopo il coito l’essere umano prova tristezza dimostra solo che normalmente gli esseri umani non si lasciano andare quando fanno l’amore.
La sessualità è (o almeno può essere) l’ambito in cui si realizza una doppia trascendenza: dal “recinto” della propria soggettività al contatto intimo con un’altra soggettività e dal piacere “inquieto” dell’eccitazione crescente al piacere della quiete “assoluta”. Lo snodo che separa la fase del “voler di più” dalla fase del “non voler altro” è costituito dall’orgasmo, che non è quindi comprensibile come processo semplicemente fisiologico. L’orgasmo si realizza proprio grazie alla disponibilità psicologica a rinunciare al controllo del proprio fare. E’ fiducia nel/nella partner, è accettazione di ciò che si è e di ciò che il/la partner è. Inoltre è una resa a ciò che il corpo “decide di fare” senza aver ricevuto ordini ed è l’abbandono ad un “dopo” che non è stato deciso e realizzato, ma solo “accettato”. Un “dopo” in cui la lucidità è debole, i “confini” sono dilatati, la gratitudine per il/la partner è intensa e l’intimità è “scontata” e lieve. Anche nell’amicizia, nel rapporto con i figli o con gli animali è presente il desiderio di “andare oltre” la propria soggettività, ma in tali ambiti, la “trascendenza” è meno intensa e non raggiunge quell’intensità fisica e psicologica che richiede un “crollo” e un superamento dei “confini”. Nell’intimità non sessuale anche il contatto fisico può crescere, ma sempre in modo lineare, fino a generare “confidenza”, “familiarità”, tenera intimità, ma non un’intimità “incondizionata”.
I concetti di orgasmo e di intimità sono comunemente “mal-trattati”, come lo è il concetto di amore, sul quale ho già fatto alcune considerazioni. Come ho ricondotto il concetto di amore a quello di “bene-volenza”, per distinguerlo dai concetti di stima, desiderio e attaccamento, cercherò di delineare una definizione abbastanza precisa del concetto di orgasmo. Potrei anche rispettare la consuetudine di trattare come sinonimi l’acme e l’orgasmo, ma preferisco tener distinti i due concetti per evidenziare alcune differenze tra i vari modi di concludere un rapporto sessuale.
Orgasmo e acme sono esperienze diverse ma collocabili in un continuum. La conclusione piacevole di un rapporto sessuale può consistere in un acme più o meno intenso o in un orgasmo più o meno intenso e possiamo considerare in una linea immaginaria l’acme più intenso contiguo rispetto all’orgasmo appena accennato. Tuttavia, sul piano concettuale, acme e orgasmo vanno accuratamente distinti. La distinzione più facile (osservabile oggettivamente) è fra l’immobilità fisica nell’acme e la liberazione dei movimenti involontari del corpo nell’orgasmo. L’altra distinzione (soggettiva) riguarda la conservazione del controllo e dei “confini” nell’acme e la rinuncia al controllo ed ai “confini” nell’orgasmo. Tuttavia, le persone possono anche “permettersi” qualche guizzo del bacino restando psicologicamente lucidi, oppure immobilizzare il bacino sperimentando un’apertura psicologica al/alla partner. La distinzione fra acme e orgasmo deve, quindi, a mio parere, essere fatta per comprendere meglio le infinite aperture e chiusure nella sfera della sessualità e non per “classificare” (e ovviamente non per approvare o disapprovare o “diagnosticare“ clinicamente”) ogni particolare esperienza.
Mentre i movimenti involontari del bacino nell’orgasmo dell’uomo e della donna sono molto intensi, nel corso della penetrazione i movimenti (dell’uomo e della donna) sono volontari, dolci e lenti. Se sono bruschi o “forti” riflettono il tentativo di compensare uno scarso abbandono al piacere del contatto. I movimenti della penetrazione (e dell’accoglienza) sono dolci perché servono a far sentire “di più”. Nell’orgasmo, invece, i movimenti involontari del bacino sono “violenti” non perché accompagnati da ostilità, ma perché “liberati”, come la corda tesa di un arco, al culmine dell’eccitazione. Nell’orgasmo il bisogno di “lasciarsi andare” si traduce anche in un temporaneo annebbiamento della coscienza.
Anche le circostanze oggettive, ovviamente, condizionano l’orgasmo. Ad esempio, nella masturbazione una persona può anche manifestare dei movimenti pelvici e lasciarsi andare alle proprie sensazioni, ma non può certamente lasciarsi andare al/alla partner (che non c’è). In una relazione omosessuale, invece, anche se può esserci un abbandono affettivo al/alla partner, la libertà dei movimenti riflessi dell’orgasmo è in misura significativa limitata dalla necessaria conclusione extragenitale del rapporto sessuale. Anche in una relazione eterosessuale si può far sesso senza “mettere in gioco” i genitali se in una data occasione prevale il desiderio di una complicità giocosa o “trasgressiva”, ma resta il fatto che la genitalità costituisce l’ambito elettivo per la realizzazione di una sintonia fisica ed interiore: nell’orgasmo le persone “si ritrovano” proprio perché sono (psicologicamente e fisicamente) libere di “perdersi”. L’orgasmo viene normalmente trascurato nei testi specialistici sulla sessualità oppure viene confuso con l’acme e ciò determina una lettura decisamente riduttiva degli aspetti fisici e psicologici che caratterizzano la conclusione di un rapporto sessuale. Ognuno, a mio parere, ha il diritto di fare sesso come preferisce, ma non ha motivi razionali per negare le particolarità delle varie espressioni della sessualità.
Credere che l’orgasmo costituisca un’esperienza di “rilassamento” è come pensare che il Grand Canyon sia “carino” o che la guerra sia una seccatura. L’orgasmo è un’esperienza molto particolare e molto intensa: tutta la dimensione soggettiva (soprattutto la coscienza di essere nella propria pelle) si dilata e ad un certo punto “collassa” senza creare dissociazioni e, in questo senso, l’orgasmo può essere considerato l’unico terremoto non pericoloso. E’ un miracolo umano. Il contatto con i nostri simili può essere realizzato anche a livello intellettuale, nell’amicizia, nei rapporti di accudimento, ma è davvero completo e reciproco proprio all’apice dell’eccitazione sessuale. L’orgasmo genitale è l’unica follia razionale, l’unico sconfinamento oltre la nostra semplice sensazione di “esserci” rispettoso di noi stessi, l’unica invasione rispettosa della soggettività altrui. In questo senso abbiamo bisogno di distinguere l’acme dall’orgasmo, perché l’acme è un’esperienza fisica circoscritta ai genitali ed un’esperienza psicologica fondamentalmente “privata”, mentre l’orgasmo genitale è un’esperienza fisica di tutto il corpo ed un’esperienza psicologica di trascendenza dal piano soggettivo a quello dell’intersoggettività.
La ricerca del piacere e l’appagamento sessuale si manifestano nei maschi e nelle femmine in modi del tutto simili, con la stessa aggressività e con la stessa dolcezza, dall’espressione iniziale del desiderio fino alla completa “resa” al piacere ed al/alla partner. Quindi, non solo è falsa l’idea culturalmente veicolata di una diversità “naturale” fra il desiderio maschile e quello femminile, ma è falsa anche qualsiasi contrapposizione fra i modi in cui maschi e femmine raggiungono l’orgasmo. L’epicentro del “terremoto” che avvia l’onda dell’orgasmo non può essere lo stesso nei due generi, ma indipendentemente dal fatto che si collochi nella vagina o nel pene, si colloca nell’area pelvica e produce un’onda che procede verso l’alto e rimbalza verso il basso, ripetutamente, fino alla quiete. Tale onda viene attivata da intensi movimenti pelvici fino al momento in cui l’orgasmo si spegne in una quiete pacificante. In altre parole, la lenta crescita dell’eccitazione nei preliminari e nell’amplesso conduce ad un punto in cui l’intensità del piacere è tale da produrre movimenti involontari del bacino volti a liberare la tensione accumulata. In assenza di rigidità croniche della muscolatura del corpo, tali movimenti del bacino si diffondono ripetutamente in tutto il corpo lasciando fluire la tensione e producendo uno stato di piacevole spossatezza e quiete, fisica e psicologica.
Il “ciclo di risposta sessuale” descritto dall’American Psychiatric Association nel DSM IV TR, è un monumento al grigiore erotico. Si può pensare che ciò sia dovuto alla trattazione “scientifica” dell’argomento, ma persino nei video porno, a parte strilli e parolacce, la tipica conclusione dei rapporti sessuali è la semplice immobilità. La simulazione dell’orgasmo di Meg Ryan nel celebre film Harry ti presento Sally, di Rob Reiner, è in realtà la simulazione molto teatrale di un acme. Pochi autori hanno colto gli aspetti essenziali dell’orgasmo. Wilhelm Reich, pur nei limiti della sua concezione psicologica generale, ha evidenziato la netta distinzione fra acme e orgasmo e l'importanza dei movimenti involontari dell’orgasmo (1942). Alexander Lowen (1965) ha ripreso la sua teoria aggiungendovi contributi non particolarmente significativi. Al contrario, i testi psicoanalitici brillano per l’assenza di riflessioni sul tema, ritenuto meno importante delle fantasie inconsce che starebbero “a monte” della sessualità sperimentata dalle persone. Eric Berne ha colto l’aspetto gioioso del’appagamento sessuale riconducendolo all’espressione “Wow!”, tradotta con “Ullallà!” (1970, p. 33). Per il resto, la bibliografia sull’orgasmo genitale è scarsa. L’orgasmo può anche essere situato tra le peak experiences studiate da Abraham Maslow (1962), ma l’esposizione della materia fatta da questo studioso è così speculativa da risultare inutilizzabile. David Herbert Lawrence ne ha invece colto l’aspetto più tenero e l’aspetto della reciprocità “Ed egli entrò in lei dolcemente, sentendo un’onda di tenerezza fluire libera dalle sue viscere a quelle di lei, viscere accese di mutua compassione tra loro” (1928, p. 373). Credo sia stata proprio tale comprensione della tenerezza che accende l’orgasmo a far infuriare i moralisti del suo tempo.
Il desiderio sessuale (psicologico e fisico) si traduce in gesti, carezze, baci, provocazioni che riguardano l’intera sensorialità fisica, in un clima di curiosità, accoglienza e complicità. Quale che sia la sfumatura dominante o la “direzione” che di volta in volta caratterizza la fase dei preliminari e della penetrazione, ad un certo punto, l’eccitazione raggiunge un apice in cui il piacere diventa “intollerabile”. E’ possibile ostacolare il processo, ma solo con uno sforzo cosciente. La stessa differenza si riscontra fra il tuffarsi in una piscina e il lasciarsi scivolare dal bordo nell’acqua. Il tuffo è “una resa” perché l’unica decisione che presuppone è quella dello sbilanciamento iniziale: oltre un certo grado di sbilanciamento non si ha più il controllo di nulla e la forza di gravità fa “il resto”. Per questo, nell’orgasmo la coscienza si offusca e il bacino (dell’uomo e della donna) scatta in avanti e poi rimbalza più volte. Non viene spinto, ma viene lasciato libero.
La “resa” all’orgasmo ed al/alla partner è resa possibile prima dalla contemplazione della bellezza del/della partner, poi dalla ricerca di un’intimità piacevole e infine dal sentimento della fiducia nell’apertura emotiva dell’altra persona. Nell’orgasmo ci si sbilancia oltre il limite dell’abituale sicurezza soggettiva e ci si lascia andare come se fosse la prima volta, perché è sempre “la prima volta”. Chi dice che la monogamia logora la passione non capisce che ogni rapporto sessuale si realizza quando è passato un po’ di tempo e l’altra persona è cambiata. Nell’orgasmo, per alcuni attimi non si capisce nulla e “va bene così”. Poi si capisce di provare gratitudine per il dono ricevuto dal/dalla partner.
La mancanza di confidenza con il proprio corpo limita la libertà di lasciarsi andare nell’orgasmo e ciò dipende sempre dalla paura. Dipende, in ultima analisi, dalla paura dell’unica esperienza di abbandono fisico già percepita nell’infanzia come intollerabile e mai “ri-classificata” come tollerabile: l’esperienza dei singhiozzi del pianto. I bambini sono capaci di piangere con lacrime e singhiozzi solo se vengono protetti dall’abbraccio accogliente dei genitori. Lasciati soli a gestire un dolore ingestibile si bloccano. Bloccano gli occhi per non “vedere il rifiuto”, bloccano la bocca per non “sentire il vuoto”, bloccano il collo per non “perdere la testa”, bloccano la gola per trattenere il lamento doloroso, bloccano il torace per non respirare “troppo” e bloccano anche l’addome e la pelvi per non “lasciarsi scuotere” dai singhiozzi percepiti come una minaccia esterna e non come l’espressione di uno stato d’animo. Tali “blocchi” vengono poi mantenuti come alterazione cronica del tono muscolare (“armatura” o “corazza” muscolare). Tutte le tensioni fisiche eccessive hanno una storia e tale storia inizia con frustrazioni infantili ingestibili, dato che, in assenza di frustrazioni dolorose, i bambini non hanno alcun bisogno di strutturare delle tensioni nel corpo.
Nel momento della massima intimità fra due adulti, la paura (antica) dei singhiozzi del pianto rende (più o meno consapevolmente) “inquietanti” i movimenti involontari del bacino e di tutto il corpo nell’orgasmo. Per questo motivo le tensioni croniche costruite “contro” l’onda del pianto ostacolano l’abbandono all’onda dell’orgasmo. Molte persone, nel momento in cui stanno per “venire” stringono e irrigidiscono le gambe, per non liberare la scarica dell’eccitazione e per “spegnerla” nella zona dei genitali. In questo modo l’eccitazione “rimbalza sul posto”, come quando si urla con un cuscino schiacciato contro la faccia. Chi rinuncia all’orgasmo e cerca (inconsapevolmente) di raggiungere un acme mantiene una piena lucidità. Fa un’esperienza piacevole, positiva, gratificante e tale da aumentare e consolidare l’intimità con il/la partner, ma entro limiti in qualche modo prestabiliti. Anche un rapporto sessuale “tecnicamente genitale” può quindi concludersi con un acme anziché con un orgasmo.
Purtroppo, le ricerche svolte sull’orgasmo maschile e soprattutto su quello femminile sono condizionate da ciò che i ricercatori si chiedono. Domande povere o confuse generano risposte superficiali o errate. Ogni tanto trovo notizie di “scoperte” sensazionali sul “punto G” o sulla “evidenza” del fatto che non esiste l’orgasmo vaginale. Io sono poco interessato a queste “scoperte”, perché quando la mia prima ragazza mi disse di aver sentito “cose nuove” proprio “all’interno”, dopo un lungo periodo in cui avevamo fatto sesso piacevolmente “come capitava” e senza porci “obiettivi sessuologici”, mi spiegò molte cose della sessualità femminile che non ho dimenticato. Ci eravamo divertiti molto anche prima, ma da quel momento lei si divertì di più e, a dire il vero, fece divertire di più anche me. Anche le esperienze emotive divennero più intense. Questi fatti personalmente riscontrati (ed altri fatti che mi sono stati riportati dai/dalle clienti, negli anni) mi fanno ritenere “deboli” tutte le “teorie” in base alle quali le donne possono avere solo un “orgasmo clitorideo” o in base alle quali non esiste alcuna distinzione “dimostrabile” fra acme e orgasmo. Tali concezioni non mi fanno cambiare le mie convinzioni: io stavo bene con la mia ragazza anche prima della sua “scoperta” dell’orgasmo vaginale e, proprio perché stavo bene, non sentivo alcun bisogno di dimostrare “scientificamente che non si potesse anche stare meglio. Purtroppo, spesso, le teorie sono scorrette perché devono dare un ordine al disordine emozionale e ai pregiudizi degli studiosi.
Il passaggio dalla barbarie alla civiltà, o dalla natura alla cultura, o dalla condizione “animale” a quella “umana” non si è realizzato, come molti credono, con l’organizzazione sociale-famigliare o con la filosofia, la scienza, la tecnica e l’arte, ma con la “scoperta dell’intimità” e con il passaggio dalla sessualità riproduttiva (al servizio della specie) all’intimità sessuale (al servizio della felicità). La sessualità è un grande territorio che include desideri, emozioni, convinzioni, gesti, contatto psicologico, contatto fisico, provocazioni, risposte, complicità, resa alle proprie sensazioni ed al/alla partner. Nella sessualità ha un ruolo particolare la genitalità, semplicemente perché i genitali (maschili e femminili) in qualche modo danno una “direzione” alla crescita dell’eccitazione e liberano l’orgasmo. Nel linguaggio comune, il termine “genitalità” indica fondamentalmente la capacità adulta di usare gli organi genitali e di procreare. Il termine ha, infatti, la stessa radice di “genitore”, “generare” e “generazione”, e ciò rinvia al fatto che nella storia della specie umana la sessualità genitale è stata strettamente collegata non solo al piacere, ma anche alla procreazione. I metodi anticoncezionali e, recentemente, la possibilità tecnica della fecondazione artificiale hanno spezzato il nesso fra la capacità adulta di cercare il piacere sessuale e quella di generare, ma nel linguaggio i due aspetti sono ancora associati.
Il termine “genitalità” ha assunto nell’ambito della psicoterapia un significato più preciso, dovuto soprattutto alla concezione psicoanalitica formulata da Sigmund Freud all’inizio del secolo scorso Tuttavia, utilizzo tale termine in un’accezione che non coincide con quella psicoanalitica o di altre scuole di psicoterapia, perché voglio mettere a fuoco soprattutto il ruolo espressivo-relazionale della sessualità e della genitalità.
Freud ha parlato di “primato dei genitali” (1905, p. 507) per sottolineare che la sessualità adulta costituisce l’ultima fase di un lungo sviluppo psicologico e fisico. Nonostante tutti i limiti e gli equivoci concettuali della sua teoria, dobbiamo riconoscere che Freud è stato il primo a tentare una sistematica spiegazione del fatto che gli esseri umani arrivano da adulti ad esprimersi (più o meno compiutamente e liberamente) sul piano sessuale dopo aver attraversato molte fasi. Tutte le esperienze riguardanti la ricerca del piacere in generale (dalla fase dell’allattamento in poi), secondo Freud incidono sul “risultato finale”. Se ciò resta vero, sono tutt’altro che scontate le speculazioni freudiane relative ai vari aspetti di tale sviluppo. Freud non ha mai chiarito in modo soddisfacente che le fasi critiche dello sviluppo psicosessuale non sono dovute principalmente alla “natura” delle “pulsioni infantili, ma all’interazione fra i bisogni affettivi dei bambini e le risposte dei genitori. Non ha nemmeno chiarito che tali risposte non hanno alcun “effetto” sullo sviluppo successivo, ma hanno solo l’effetto immediato di produrre appagamento o dolore. Ciò che conta davvero è il fatto che i rifiuti dei genitori rendono necessaria la costruzione di difese psicologiche e che proprio queste difese psicologiche disturbano la sessualità adulta e creano uno scarto fra le potenzialità individuali e l’espressione di tali potenzialità.
Un allattamento poco soddisfacente non “causa” nulla, a parte un immediato dolore “totale”, perfettamente sentito, non compreso e ingestibile. Da tale dolore i neonati si difendono irrigidendo i muscoli della bocca, alterando la motilità orientata alla ricerca del piacere e quindi attivando micro-atteggiamenti precursori di successivi atteggiamenti voraci oppure distaccati. A mio parere, è quindi importante comprendere che l’antico dolore “passa”, mentre le difese costruite dai bambini restano e limitano l’intera esistenza personale ed anche la sessualità adulta. Quando le persone non ammettono e non esprimono la loro dipendenza ed il loro coinvolgimento nei rapporti affettivamente intensi, cercano di restare dissociate da antichi (e nemmeno consci) vissuti di bisogno e di intollerabile frustrazione. Allo stesso modo, quando le persone sono sempre alla ricerca di contatto fisico, appoggio, “nutrimento affettivo”, non cercano reali ed attuali gratificazioni, ma si ostinano a non sentire che qualcosa “manca” (non oggettivamente, ma come sensazione soggettiva) e a non accettare che tale mancanza non può essere colmata da esperienze “compensative”. Le tensioni muscolari della bocca, interferiscono anche con lo sviluppo osseo e molte persone con la mandibola sporgente o retratta mostrano una “determinazione” o una scarsa aggressività che ha radici antiche relative alla fase dell’allattamento. Tali rigidità contribuiscono quindi alla strutturazione di complessivi atteggiamenti caratteriali ed incidono anche sulla libera manifestazione dell’orgasmo.
Il valore attribuito da Freud alla “fase anale” dello sviluppo psicosessuale rispecchia in realtà il particolare tipo di accudimento a cui sono “condannati” i bambini in una particolare cultura: le eccessive preoccupazioni materne per le funzioni intestinali dei figli, l’imposizione del vasino prima della mielinizzazione dei nervi che regolano lo sfintere anale (completa solo dopo l’anno e mezzo di età) e le operazioni invasive (perette e clisteri) attuate senza reali necessità, rendono ovviamente la mucosa anale particolarmente sensibile e si traducono in seguito facilmente anche in una intensa sensibilità erotica della mucosa anale o in un’insofferenza per qualsiasi stimolazione.
Anche la fase “fallica” descritta da Freud include varie inesattezze, perché da un lato le sensazioni genitali infantili (comprese quelle vaginali delle bambine) compaiono nei primissimi anni e da un altro lato le fantasie legate al “possesso” del pene o quelle legate alla “mancanza del pene” (che in realtà è la presenza di un altro organo!) sono più che altro speculative e, quando riflettono vicende personali, rinviano ad un ambiente in cui la sessualità infantile è repressa.
La concezione freudiana è lacunosa, perché pone la fase “orale” all’inizio dello “sviluppo psicosessuale”, trascurando l’importanza della “fase oculare” identificata da Wilhelm Reich: i neonati stabiliscono precocemente un contatto oculare con la madre e anche questa esperienza può essere nutriente e rassicurante o frustrante e, di fatto, il guardarsi negli occhi degli adulti può avere una carica erotica anche maggiore di quella generata dal contatto delle mani con il corpo del/della partner. Per altri aspetti, la concezione freudiana è confusa o errata, perché non distingue nelle varie “fasi” ciò che corrisponde ad uno sviluppo spontaneo realizzato in un clima di accettazione e di libertà e ciò che corrisponde ad uno sviluppo disturbato da genitori distaccati o svalutanti o distruttivi. In ogni caso, non voglio esaminare i vari aspetti delle “fasi pregenitali” che Freud ha teorizzato sulla base di osservazioni e di interpretazioni influenzate dalla cultura del tempo.
Voglio quindi collocare il termine genitalità in un altro quadro di riferimento per far presente che nella sessualità adulta non sono semplicemente utilizzati i genitali e non viene semplicemente scaricata una tensione nell’area genitale, ma viene espressa la ricerca del piacere, la ricerca del contatto fisico, l’apertura alla soggettività di un’altra persona e la “resa” al/alla partner ed alle proprie sensazioni al culmine dell’eccitazione erotica. L’idea di una sessualità adulta “sana” o “patologica” non mi interessa, come non mi interessa l’idea di un appagamento sessuale ridotto a scarica energetica, perché tali idee ostacolano, di fatto, la comprensione di ciò che conta di più: le persone fanno sesso per gioire e per incontrarsi oppure fanno “qualcosa di sessuale” mentre in realtà si affannano per vivere senza sentire “troppe emozioni” e soprattutto per restare dissociate dal dolore. Più le persone vivono “per non sentire”, più rendono la loro esperienza sessuale “povera”. Il termine genitalità è appropriato perché la sessualità si esprime sul piano fisico e il corpo umano è fatto in modo da consentire proprio con l’unione dei genitali maschili e femminili sia una completa scarica orgastica dell’eccitazione sessuale, sia l’esperienza di una piena reciprocità della stimolazione, sia la possibilità di una esperienza condivisa dell’orgasmo. Ciò ovviamente non implica alcuna svalutazione o “patologizzazione” di esperienze sessuali concluse in altri modi (sia per gioco nelle relazioni eterosessuali, sia per mancanza di alternative nel caso della masturbazione e delle relazioni omosessuali), ma comporta il semplice riconoscimento del reale “primato” della genitalità nell’appagamento sessuale e nella realizzazione dell’intimità sessuale.
Utilizzo il termine “teoricamente neutro” di eccitazione e stimolazione extragenitale per riferirmi a tutte le stimolazioni e a tutti i giochi erotici che non includono il contatto fra i genitali maschili e femminili. Il termine più frequentemente usato è quello di eccitazione o stimolazione “pregenitale” (Freud, 1915-1917, p. 484), in ossequio alla concezione psicoanalitica di uno sviluppo “per fasi”, del desiderio sessuale, ma prescinderò dalle idee psicoanalitiche relative alla pregenitalità, al “complesso edipico”, al complesso “di castrazione” ed alla ben nota “invidia del pene” che ha fatto (giustamente) infuriare tante donne.
Le modalità non genitali (extragenitali) di conclusione del rapporto sessuale favoriscono la complicità e quindi anche l’intimità, ma non consentono la simultanea crescita dell’eccitazione, in genere causano l’acme di una sola persona rendendo necessario un successivo raggiungimento dell’acme dell’altro/a partner, oppure costringono a frenare i movimenti pelvici involontari. Il “primato” della genitalità non è quindi un’opzione ideologica, ma una semplice conseguenza di alcuni aspetti della fisiologia umana: a) le terminazioni nervose dei genitali maschili e femminili (e non quelle della bocca, dell’ano o di altre parti del corpo) consentono la liberazione dei movimenti involontari di tutto il corpo nell’orgasmo, b) l’unione dei genitali consente nell’orgasmo una piena libertà fisica nell’espressione dei movimenti involontari di entrambi gli amanti. Ciò significa che tutta la sfera extragenitale è molto importante nella fase dei preliminari ed anche come occasionale alternativa al completamento del rapporto sessuale, ma non può essere l’ambito privilegiato della realizzazione del piacere sessuale e dell’abbandono orgastico alle sensazioni piacevoli ed al/alla partner.
Il piacere sessuale è in genere svalutato, ma è ancora più svalutata la componente extragenitale della sessualità. E’ quindi opportuno tener presente che sia nella sfera extragenitale della sessualità, sia in quella genitale è possibile esprimere o non esprimere amore. Infatti, si può impoverire l’esperienza dell’intimità sia esasperando l’aspetto giocoso del sesso, sia riducendo la sessualità genitale a schema ripetitivo. Tra l’altro, la sessualità extragenitale e genitale sono strettamente intrecciate perché nelle persone tutto si intreccia con tutto. Quando una donna non raggiunge l’orgasmo genitale o lo raggiunge dopo una lunga stimolazione clitoridea o di altro tipo, il partner può esprimere il proprio desiderio (e il proprio amore) proprio favorendo la crescita dell’eccitazione della compagna e anche la donna può trovare piacevole favorire la crescita dell’eccitazione del partner. In una coppia la complicità si esprime partendo dalle reali aspettative delle persone e non da un modello ideale giustificato in base a criteri astratti.
In altre parole, la sfera extragenitale non è “né buona, né cattiva” e, tra l’altro non è nemmeno ben delimitata. Senza vere ragioni si considera extragenitale la stimolazione orale dei genitali ma non il bacio, ritenuto un preliminare “indispensabile” per la sessualità genitale. In fondo anche le carezze sono stimolazioni extragenitali e quindi tutta la sfera “proibita” della sessualità extragenitale riflette un semplice conformismo culturale svalutativo. La sessualità extragenitale implica una complicità nella ricerca e nella condivisione del piacere estranea agli scopi “nobili” (soprattutto la procreazione) della sessualità ed è proprio questa complicità “inutile” che irrita i moralisti. Se si potesse procreare accarezzando insistentemente i capelli, i moralisti avrebbero già classificato anche la sessualità genitale come un cedimento alla “eccessiva” eccitazione avvertita “in basso”.
Solo se prescindiamo dai pregiudizi possiamo comprendere i reali vantaggi e i reali limiti della sessualità extragenitale e per tale impresa non dobbiamo fare ragionamenti troppo sofisticati. I vantaggi stanno nel fatto che (in assenza di vergogna o timori o blocchi) la sessualità extragenitale è eccitante e piacevole. Gli svantaggi si riducono al fatto che la sessualità esclusivamente extragenitale (fino all’acme) in genere limita i movimenti involontari dell’orgasmo e la reciprocità nel raggiungimento dell’appagamento. I vantaggi sono minimizzati da alcune persone solo per motivi “etici”, mentre gli svantaggi sono minimizzati da altre persone solo perché confondono l’acme e l’orgasmo. I maschi che al culmine del piacere contraggono gambe, natiche, schiena e bacino, immobilizzandosi anziché lasciandosi andare ai movimenti involontari dell’orgasmo, non possono capire che venire nella vagina è più comodo che venire in altri “luoghi”, e le femmine che sperimentano solo un acme clitorideo non possono cogliere la differenza fra un orgasmo genitale e una stimolazione manuale o orale della clitoride. Tuttavia, le differenze restano tali anche se non sono comprese.
La complicità nella ricerca del piacere è il primo aspetto dell’intimità e non può ragionevolmente avere “regole”. Diventa, tuttavia, una complicità falsa proprio quando introduce regole: sia regole negative (“ma come ti permetti?!”), sia regole positive, come nel caso in cui solo un particolare rituale rende possibile l’eccitazione. La complicità diventa falsa (ed anche in qualche misura violenta) soprattutto nei casi in cui le stimolazioni sono appropriate ad una situazione opposta all’intimità, come nel caso delle relazioni sado-masochistiche, anche se non realmente violente. In tali “giochi erotici” viene sessualizzata un’angoscia relativa al controllo e al potere e non viene quindi espresso un reale desiderio sessuale.
In alcuni casi, anche la conclusione del rapporto sessuale è preferita da una persona o da entrambe su un piano extra-genitale (masturbazione reciproca o contemporanea, acme causato dalla stimolazione orale, stimolazione o penetrazione anale); tale conclusione, anche se piacevole, non consente la piena libertà nel momento dell’orgasmo. I rapporti oro-genitali, ad esempio, anche se eccitanti comportano delle limitazioni. Se la donna è il soggetto passivo può avere solo un acme clitorideo, mentre se l’uomo è il soggetto passivo, deve trattenere i movimenti pelvici dell’orgasmo per non colpire la gola della compagna e per non urtare i suoi denti. Nei rapporti anali il soggetto attivo deve trattenere i movimenti pelvici per non risultare potenzialmente doloroso e il soggetto passivo non può provare un orgasmo. Tali dati sono oggettivi, anche se non creano problemi a chi ha già il problema costituito dall’incapacità di sperimentare un abbandono al piacere ed ai movimenti dell’orgasmo. Nella masturbazione reciproca, la libertà di movimento all’apice del piacere può, in certe posizioni, essere sufficiente, ma tale giocosa esperienza non è comunque un’esperienza di completo abbandono e ben difficilmente consente alle due persone di sperimentare contemporaneamente un crescita del piacere e un rilassamento completo. Anche la sessualità genitale, ovviamente, in quanto esperienza umana è di fatto “imperfetta”: non sempre le due persone raggiungono l’orgasmo contemporaneamente, ma solo a livello genitale le due persone possono sperimentare contemporaneamente e con una stimolazione reciproca, sia la crescita del piacere sia l’abbandono all’orgasmo.
In ogni caso, la semplice utilizzazione dei genitali non basta a caratterizzare la genitalità nell’accezione del termine da me suggerita. Il desiderio di “eliminare un privato prurito nei genitali” affossa l’intimità quanto la vergogna o l’inibizione sessuale, anche se può tradursi in comportamenti “tecnicamente” completi. Nel desiderio realmente accettato e manifestato, l’altra persona è identificata come “attraente”, eccitante e quindi come tanto preziosa da giustificare uno sbilanciamento nei suoi confronti e un’ammissione di dipendenza. Nell’orgasmo l’altra persona è accettata come tanto “vicina” da giustificare una rinuncia al controllo del rapporto. Sia “all’inizio”, sia “alla fine”, quindi, la genitalità consiste nell’astensione totale dal controllo, dalla delimitazione dei ruoli, dal’esercizio del potere. Purtroppo, il fare sesso o il fare l’amore spesso non riflettono la ricerca del piacere e dell’intimità, ma qualche tipo di manipolazione. Non a caso, credo, molte espressioni popolari (e volgari) che indicano la sessualità genitale sono le stesse che si usano per indicare un imbroglio o un’esclusione o uno sfruttamento: la vendita di un prodotto scadente può essere definita “una chiavata”, un candidato non abbastanza appoggiato dagli elettori o dal partito può essere definito come “trombato”, e così via. Solo il termine “scopata” allude genericamente ad un movimento ritmico e, non a caso, nei contesti comunicativi extra-sessuali non è utilizzabile per descrivere un inganno o un rifiuto. Questa associazione stretta fra insulti e sessualità genitale (e soprattutto extragenitale) è semplicemente terribile e indica quanto il piacere sessuale sia svilito.
Nel sesso i ruoli non possono ragionevolmente essere prefissati e l’idea che la sessualità femminile sia passiva e quella maschile sia attiva è infondata, sia quando riguarda il contatto genitale sia quando riguarda i preliminari. La vagina, non solo accoglie, ma risucchia e abbraccia; il pene, non solo esplora, ma si lascia anche catturare. Allo stesso modo non c’è una sola ragione per pensare che l’aggressività sessuale (nel senso del prendere l’iniziativa di un rapporto e nel senso dell’orientare le varie fasi del rapporto) sia una prerogativa maschile. Anche il “prendere” e il “lasciarsi prendere”, il “provocare” e l’arrendersi alle provocazioni, il collocarsi “sopra” o “sotto”, costituiscono aspetti di un’unica danza in cui le due persone possono scambiarsi i ruoli. Ciò che interferisce con il piacere e con l’intimità, quindi, è solo la rigidità dell’assunzione di un ruolo. Molti uomini provano disagio nei momenti in cui la donna si pone in modo attivo e molte donne provano disagio ad “attivarsi” anche quando ne hanno voglia. Con tali manifestazioni (difensive) di disagio le persone si dimostrano più “attratte” da una fantasia privata (o da un timore privato) che dall’esperienza che stanno facendo. Anche quando una donna dice di poter venire solo se sta “sopra”, si sta vietando tutto “il resto” e lo stesso vale per un uomo che perde l’erezione se non sta “sopra”. Ciò ovviamente non significa che le persone non possano avere delle preferenze e anche delle preferenze condivise, ma suggerisce l’importanza in una coppia dell’attenzione alle esigenze di fatto sentite dagli amanti. L’intimità ed il piacere crescono nel tempo proprio nella misura in cui le persone si vengono incontro con curiosità e sincera disponibilità.
Un cliente, che chiamerò Ezio, aveva iniziato il lavoro con me da un anno circa, ma pur “sentendosi meglio”, a mio parere stava “girando a vuoto”. Gli comunicai la mia sensazione e gli chiesi espressamente se ci fossero temi che consapevolmente evitava di portare in seduta. Avevamo chiarito che certi atteggiamenti della moglie erano svalutativi e avevamo anche visto come ai rifiuti della moglie egli reagisse con un certo distacco, o con irritazione, come da bambino nel rapporto con la madre. Aveva provato anche momenti di sentita tristezza, mai espressa compiutamente nel pianto e proprio questa “incompiutezza” mi aveva spinto ad intervenire chiedendo di affrontare eventuali temi omessi. Sapevo già che i rapporti sessuali con la moglie erano poco frequenti, completi sul piano “tecnico” da parte di Ezio e solo parzialmente soddisfacenti per la moglie che comunque non si aspettava di più. La questione, ovviamente, non era “sessuologica”, ma relazionale. Ezio rispose alla mia domanda dicendo che provava un certo disagio a parlarmi delle sue fantasie sessuali. Poi mi disse di essersi sempre “controllato” e di non aver mai frequentato prostitute, ma di avere un forte desiderio “in quella direzione”. Nella sua fantasia, i rapporti erano orali, anali o realizzati in situazioni in cui rischiava di essere scoperto oppure consistevano in una penetrazione genitale immediata, con i vestiti addosso (possibilmente “strappati”), senza preliminari. In pratica, si sentiva stimolato più dalla “disponibilità” della donna che da un particolare contatto con lei. Precisò che ovviamente tali giochi erotici non erano nemmeno immaginabili con la moglie, con la quale praticava una sessualità “regolare” preceduta dal minimo “sindacalmente consentito” di carezze.
GF. Io non mi concentrerei sulle tue specifiche fantasie di giochi erotici o sui particolari rifiuti sessuali di Gianna, ma sul fatto che di giocoso c’è ben poco nel vostro rapporto.
E. Il tuo commento mi toglie un peso. Temevo che volessi approfondire le mie fissazioni e che in fondo le considerassi strane.
GF. Per queste valutazioni puoi interpellare i preti o la tua anziana madre: loro sono specialisti in ciò che va fatto e che non va fatto. A me interessa solo capire.
E. [Sorride] D’accordo. Però la fissazione c’è. Io non immagino di fare l’amore con un’altra donna, ma di ricevere “un pompino” o di avere un rapporto anale con “una donna qualsiasi” e preferibilmente con una prostituta. Anche se non poniamo censure possiamo almeno chiarire perché con la testa vado sempre a finire lì? Quando mi masturbo, dato che i rapporti sessuali sono rari, penso a quello e a volte penso a quello anche mentre faccio sesso “regolarmente” con Gianna.
GF. Rispondimi senza riflettere, senza cercare una risposta “intelligente”: qual è il pompino più esaltante che puoi immaginare e qual è quello che più ti deluderebbe?
E. (…) Quello più esaltante è … la donna si eccita vedendo la mia eccitazione. Quello deludente … non ci ho mai pensato. Forse … se è una prostituta e lo fa solo per i soldi.
GF. E cosa ti eccita di più nella fantasia di farlo proprio con una prostituta?
E. Ora capisco: lei lo fa per mestiere, ma se si eccita, non lo fa solo per mestiere!
GF. Se si eccita sentendo la tua eccitazione, cosa succede? Di cosa stiamo parlando?
E. Cazzo! [Manifesta una lieve commozione trattenuta]. Parliamo della solitudine! Cerco delle dimostrazioni di totale disponibilità nei miei confronti.
[Quelle “fissazioni” molto intriganti sul piano intellettuale e collegabili ad un mucchio di cose, erano semplicemente un ostacolo alla consapevolezza “sentita” della solitudine di Ezio bambino e di Ezio uomo. Sarebbe stato facile formulare “fantasie diagnostiche” corrispondenti alle fantasie erotiche, in modo da “programmare una terapia” e sarebbe stato facile anche “evidenziare” l’idea della “donna oggetto”, ma proprio Ezio era (mal)trattato come un “oggetto”: era l’oggetto di un desiderio asessuato ma possessivo, perché per Gianna lui doveva “esserci”, ma senza desideri e doveva essere un compagno “stabile”, ma disposto ad “accontentarsi”]
GF. Vorrei suggerirti un “compito a casa”.
E. Quale?
GF. Quando hai voglia di masturbarti, per una volta (una volta sola) immagina di fare sesso (come ti pare) con una donna incontrata nella cerchia delle tue relazioni sociali. Immaginala desiderosa di fare sesso con te. Una donna che ti ha già detto che a casa sua puoi lasciare almeno lo spazzolino e qualche camicia.
Nella seduta successiva Ezio mi disse di aver “fatto il compito”. Dopo la masturbazione sviluppata con fantasie più intense sul piano emotivo e non circoscritte ai soli giochi aveva sentito più intensamente la mancanza di una compagna. Non di una compagna complice solo in un gioco erotico, ma anche in una relazione. Aveva scaricato con la masturbazione un po’ di tensione, ma aveva poi sentito il bisogno di esprimere (non di “scaricare”) un altro tipo di “tensione” e aveva pianto. Aveva sentito quella solitudine sempre sfiorata. Ezio controllava la sensazione di solitudine con la “fissazione sessuale”, poi controllava la fissazione stessa evitando di incontrare delle prostitute (che difficilmente si sarebbero innamorate di lui). Poi controllava il doppio controllo con un terzo controllo: si vergognava delle sue fantasie come un ragazzino ed evitava persino con me di parlare del suo “grande problema”.
La sessualità non può essere l’esecuzione di un programma prestabilito, ma solo la ricerca di un contatto fisico e “interiore”. Sempre che ci sia fiducia, apertura, curiosità, accoglienza e amore. Basta un po’ di amore, ma il poco basta se è “qualcosa”, perché anche l’avventura occasionale sollecitata da un semplice sorriso può essere un fare l’amore nel senso di fare “un po’ d’amore”. Dunque un fare, un “fare con”, un movimento verso lui/lei, un incontro, una trascendenza. E’ completamente diversa l’esperienza del “fare le proprie cose” con la “gentile collaborazione” di un’altra persona.
Una cliente mi disse una volta che ciò che la eccitava di più era il modo un po’ “autoritario” (nel senso di “direttivo”, non di “violento”) di “prenderla” del suo partner. Lei evitava così di sentirsi responsabile del proprio desiderio e in pratica godeva più a sentirsi deresponsabilizzata che a prendersi ciò che voleva. Ovviamente aveva alle spalle una storia non ancora superata: la storia dolorosa di una costante svalutazione di ciò che non risultava “utile”, “serio”, “giustificato”. Le idee di questa persona erano abbastanza “aperte”, perché influenzate dalla cultura “progressista”, ma nell’intimità lei continuava ad essere “reazionaria” e a nascondere il proprio desiderio. Il suo dolore non aveva a che fare principalmente con il sesso, ma con tutta una storia di svilimento della sua persona in una famiglia che idolatrava la cultura e il successo. Piangendo per la vita spesa a dissociarsi dalla dolorosa non accettazione di “sé-giocosa” e di “sé-leggera” si accorse di poter osare di più e, fortunatamente, trovò nel suo compagno un alleato, perché egli gradiva sia “prenderla”, sia “farsi prendere”. Ha quindi mantenuto, ridimensionandolo, il piacere di essere complice passiva del gioco erotico, ma ha anche acquisito la libertà di essere attiva, responsabile e “spudorata”.
Fare l’amore significa mostrare con il corpo che si desidera andare al di là di ciò che si è e affermare che il/la partner è la persona scelta per questa avventura. Ogni rapporto sessuale veramente libero non inizia con i preliminari erotici, ma con i “preliminari dei preliminari”, ovvero con il mantenimento di un’atmosfera erotica, fatta di sguardi, modi di essere e di agire sempre aperti al piacere. In tale atmosfera non hanno spazio le rivendicazioni, i litigi, le lamentele, le accuse, le svalutazioni, dato che il piacere del contatto fisico è inevitabilmente unito al piacere dell’intimità. Si possono esaminare moltissimi aspetti della sessualità, ma per esaminarli in modo accurato occorre considerare il modo in cui si intrecciano con il dialogo interno, con le aperture e le chiusure emotive e con il più ampio modo di vivere.