La sessualità non è solo l’ambito elettivo della
“trascendenza” dalla propria soggettività a quella di un’altra persona, ma è
anche l’ambito in cui tale apertura psicologica si realizza attraverso un
contatto fisico molto particolare: il piacere del contatto aumenta fino a
diventare un’eccitazione “intollerabile”, poi l’eccitazione viene “spezzata”
dai movimenti involontari dell’orgasmo e trasformata in un piacere molto
diverso da quello “crescente” dei preliminari e descrivibile come una quiete
assoluta dopo la tempesta. In questo processo, il desiderio soggettivo di un
contatto fisico eccitante diventa contatto tenero con un soggetto incontrato
“al di là” della sua fisicità, o almeno “al confine” della sua fisicità. Per
questo, l’esperienza del piacere condiviso con l’oggetto desiderato diventa una
resa al soggetto “trovato”. Proprio l’orgasmo placa l’eccitazione divenuta
tanto intensa da “reclamare” un acquietamento. Nella quiete successiva all’orgasmo
l’appagamento consiste nella piacevole sensazione di non avere “confini”, di
essere assieme al/alla partner in un “tutto” che è a posto da sempre e per
sempre. L’antica idea secondo cui dopo il coito l’essere umano prova tristezza
dimostra solo che normalmente gli esseri umani non si lasciano andare quando
fanno l’amore.
La sessualità è (o almeno può essere) l’ambito in
cui si realizza una doppia trascendenza:
dal “recinto” della propria soggettività al contatto intimo con un’altra
soggettività e dal piacere “inquieto” dell’eccitazione crescente al piacere
della quiete “assoluta”. Lo snodo che separa la fase del “voler di più” dalla
fase del “non voler altro” è costituito dall’orgasmo, che non è quindi
comprensibile come processo semplicemente fisiologico. L’orgasmo si realizza
proprio grazie alla disponibilità psicologica a rinunciare al controllo del
proprio fare. E’ fiducia nel/nella
partner, è accettazione di ciò che si
è e di ciò che il/la partner è. Inoltre è una resa a ciò che il corpo “decide di fare” senza aver ricevuto ordini
ed è l’abbandono ad un “dopo” che non
è stato deciso e realizzato, ma solo “accettato”. Un “dopo” in cui la lucidità
è debole, i “confini” sono dilatati, la gratitudine per il/la partner è intensa
e l’intimità è “scontata” e lieve. Anche nell’amicizia, nel rapporto con i
figli o con gli animali è presente il desiderio di “andare oltre” la propria
soggettività, ma in tali ambiti, la “trascendenza” è meno intensa e non
raggiunge quell’intensità fisica e psicologica che richiede un “crollo” e un
superamento dei “confini”. Nell’intimità non sessuale anche il contatto fisico
può crescere, ma sempre in modo lineare, fino a generare “confidenza”,
“familiarità”, tenera intimità, ma non un’intimità “incondizionata”.
I concetti di orgasmo e di intimità sono comunemente
“mal-trattati”, come lo è il concetto di amore, sul quale ho già fatto alcune
considerazioni. Come ho ricondotto il concetto di amore a quello di
“bene-volenza”, per distinguerlo dai concetti di stima, desiderio e attaccamento,
cercherò di delineare una definizione abbastanza precisa del concetto di
orgasmo. Potrei anche rispettare la consuetudine di trattare come sinonimi
l’acme e l’orgasmo, ma preferisco tener distinti i due concetti per evidenziare
alcune differenze tra i vari modi di concludere un rapporto sessuale.
Orgasmo e acme sono esperienze diverse ma collocabili
in un continuum. La conclusione piacevole di un rapporto sessuale può
consistere in un acme più o meno intenso
o in un orgasmo più o meno intenso e
possiamo considerare in una linea immaginaria l’acme più intenso contiguo
rispetto all’orgasmo appena accennato. Tuttavia, sul piano concettuale, acme e
orgasmo vanno accuratamente distinti. La distinzione più facile (osservabile
oggettivamente) è fra l’immobilità fisica nell’acme e la liberazione dei
movimenti involontari del corpo nell’orgasmo. L’altra distinzione (soggettiva)
riguarda la conservazione del controllo e dei “confini” nell’acme e la rinuncia
al controllo ed ai “confini” nell’orgasmo. Tuttavia, le persone possono anche
“permettersi” qualche guizzo del bacino restando psicologicamente lucidi,
oppure immobilizzare il bacino sperimentando un’apertura psicologica al/alla
partner. La distinzione fra acme e orgasmo deve, quindi, a mio parere, essere
fatta per comprendere meglio le infinite aperture e chiusure nella sfera della
sessualità e non per “classificare” (e ovviamente non per approvare o
disapprovare o “diagnosticare“ clinicamente”) ogni particolare esperienza.
Mentre i movimenti involontari del bacino nell’orgasmo
dell’uomo e della donna sono molto intensi, nel corso della penetrazione i
movimenti (dell’uomo e della donna) sono volontari, dolci e lenti. Se sono
bruschi o “forti” riflettono il tentativo di compensare uno scarso abbandono al
piacere del contatto. I movimenti della penetrazione (e dell’accoglienza) sono
dolci perché servono a far sentire “di più”. Nell’orgasmo, invece, i movimenti
involontari del bacino sono “violenti” non perché accompagnati da ostilità, ma
perché “liberati”, come la corda tesa di un arco, al culmine dell’eccitazione. Nell’orgasmo
il bisogno di “lasciarsi andare” si traduce anche in un temporaneo annebbiamento
della coscienza.
Anche le circostanze oggettive, ovviamente,
condizionano l’orgasmo. Ad esempio, nella masturbazione una persona può anche
manifestare dei movimenti pelvici e lasciarsi andare alle proprie sensazioni, ma non può certamente lasciarsi andare al/alla partner (che non c’è). In una
relazione omosessuale, invece, anche se può esserci un abbandono affettivo
al/alla partner, la libertà dei movimenti riflessi dell’orgasmo è in misura
significativa limitata dalla necessaria conclusione extragenitale del rapporto
sessuale. Anche in una relazione eterosessuale si può far sesso senza “mettere
in gioco” i genitali se in una data occasione prevale il desiderio di una
complicità giocosa o “trasgressiva”, ma resta il fatto che la genitalità
costituisce l’ambito elettivo per la realizzazione di una sintonia fisica ed
interiore: nell’orgasmo le persone “si ritrovano” proprio perché sono
(psicologicamente e fisicamente) libere di “perdersi”. L’orgasmo viene normalmente trascurato nei testi specialistici sulla
sessualità oppure viene confuso con l’acme e ciò determina una lettura
decisamente riduttiva degli aspetti fisici e psicologici che caratterizzano la
conclusione di un rapporto sessuale. Ognuno, a mio parere, ha il diritto di
fare sesso come preferisce, ma non ha motivi razionali per negare le particolarità
delle varie espressioni della sessualità.
Credere che l’orgasmo costituisca un’esperienza di
“rilassamento” è come pensare che il Grand Canyon sia “carino” o che la guerra
sia una seccatura. L’orgasmo è un’esperienza molto particolare e molto intensa:
tutta la dimensione soggettiva (soprattutto la coscienza di essere nella propria pelle) si dilata e ad un certo
punto “collassa” senza creare dissociazioni e, in questo senso, l’orgasmo può
essere considerato l’unico terremoto non pericoloso. E’ un miracolo umano. Il
contatto con i nostri simili può essere realizzato anche a livello
intellettuale, nell’amicizia, nei rapporti di accudimento, ma è davvero completo e reciproco proprio all’apice
dell’eccitazione sessuale. L’orgasmo genitale è l’unica follia razionale,
l’unico sconfinamento oltre la nostra semplice sensazione di “esserci”
rispettoso di noi stessi, l’unica invasione rispettosa della soggettività
altrui. In questo senso abbiamo bisogno di distinguere l’acme dall’orgasmo,
perché l’acme è un’esperienza fisica
circoscritta ai genitali ed un’esperienza psicologica fondamentalmente
“privata”, mentre l’orgasmo genitale è un’esperienza fisica di tutto il corpo
ed un’esperienza psicologica di trascendenza dal piano soggettivo a quello dell’intersoggettività.
La ricerca del piacere e l’appagamento sessuale si
manifestano nei maschi e nelle femmine in
modi del tutto simili, con la stessa aggressività e con la stessa dolcezza,
dall’espressione iniziale del desiderio fino alla completa “resa” al piacere ed al/alla partner. Quindi, non solo è falsa l’idea culturalmente veicolata di
una diversità “naturale” fra il desiderio maschile e quello femminile, ma è
falsa anche qualsiasi contrapposizione fra i modi in cui maschi e femmine
raggiungono l’orgasmo. L’epicentro del “terremoto” che avvia l’onda
dell’orgasmo non può essere lo stesso nei due generi, ma indipendentemente dal
fatto che si collochi nella vagina o nel pene, si colloca nell’area pelvica e
produce un’onda che procede verso l’alto e rimbalza verso il basso,
ripetutamente, fino alla quiete. Tale onda viene attivata da intensi movimenti
pelvici fino al momento in cui l’orgasmo si spegne in una quiete pacificante.
In altre parole, la lenta crescita dell’eccitazione nei preliminari e nell’amplesso
conduce ad un punto in cui l’intensità del piacere è tale da produrre movimenti
involontari del bacino volti a liberare la tensione accumulata. In assenza di
rigidità croniche della muscolatura del corpo, tali movimenti del bacino si
diffondono ripetutamente in tutto il corpo lasciando fluire la tensione e
producendo uno stato di piacevole spossatezza e quiete, fisica e psicologica.
Il “ciclo di risposta sessuale” descritto
dall’American Psychiatric Association nel DSM
IV TR, è un monumento al grigiore erotico. Si può pensare che ciò sia
dovuto alla trattazione “scientifica” dell’argomento, ma persino nei video
porno, a parte strilli e parolacce, la tipica conclusione dei rapporti sessuali
è la semplice immobilità. La simulazione dell’orgasmo di Meg Ryan nel celebre
film Harry ti presento Sally, di Rob
Reiner, è in realtà la simulazione molto teatrale di un acme. Pochi autori
hanno colto gli aspetti essenziali dell’orgasmo. Wilhelm Reich, pur nei limiti della sua concezione psicologica generale, ha evidenziato
la netta distinzione fra acme e orgasmo e l'importanza dei movimenti involontari dell’orgasmo (1942). Alexander Lowen (1965) ha ripreso la sua
teoria aggiungendovi contributi non particolarmente significativi. Al
contrario, i testi psicoanalitici brillano per l’assenza di riflessioni sul tema,
ritenuto meno importante delle fantasie inconsce che starebbero “a monte” della
sessualità sperimentata dalle persone. Eric
Berne ha colto l’aspetto gioioso del’appagamento sessuale riconducendolo
all’espressione “Wow!”, tradotta con “Ullallà!” (1970, p. 33). Per il resto, la
bibliografia sull’orgasmo genitale è scarsa. L’orgasmo può anche essere situato
tra le peak experiences studiate da
Abraham Maslow (1962), ma l’esposizione della materia fatta da questo studioso
è così speculativa da risultare inutilizzabile. David Herbert Lawrence ne ha invece
colto l’aspetto più tenero e l’aspetto della reciprocità “Ed egli entrò in lei
dolcemente, sentendo un’onda di tenerezza fluire libera dalle sue viscere a
quelle di lei, viscere accese di mutua compassione tra loro” (1928, p. 373).
Credo sia stata proprio tale comprensione della tenerezza che accende l’orgasmo
a far infuriare i moralisti del suo tempo.
Il desiderio sessuale (psicologico e fisico) si
traduce in gesti, carezze, baci, provocazioni che riguardano l’intera
sensorialità fisica, in un clima di curiosità, accoglienza e complicità. Quale
che sia la sfumatura dominante o la “direzione” che di volta in volta
caratterizza la fase dei preliminari e della penetrazione, ad un certo punto,
l’eccitazione raggiunge un apice in cui il piacere diventa “intollerabile”. E’
possibile ostacolare il processo, ma solo con uno sforzo cosciente. La stessa
differenza si riscontra fra il tuffarsi in una piscina e il lasciarsi scivolare
dal bordo nell’acqua. Il tuffo è “una resa” perché l’unica decisione che
presuppone è quella dello sbilanciamento iniziale: oltre un certo grado di
sbilanciamento non si ha più il controllo di nulla e la forza di gravità fa “il
resto”. Per questo, nell’orgasmo la coscienza si offusca e il bacino (dell’uomo
e della donna) scatta in avanti e poi rimbalza più volte. Non viene spinto, ma
viene lasciato libero.
La “resa” all’orgasmo ed al/alla partner è resa
possibile prima dalla contemplazione della bellezza del/della partner, poi
dalla ricerca di un’intimità piacevole e infine dal sentimento della fiducia nell’apertura emotiva dell’altra
persona. Nell’orgasmo ci si sbilancia oltre il limite dell’abituale sicurezza
soggettiva e ci si lascia andare come se fosse la prima volta, perché è sempre
“la prima volta”. Chi dice che la monogamia logora la passione non capisce che
ogni rapporto sessuale si realizza quando è passato un po’ di tempo e l’altra
persona è cambiata. Nell’orgasmo, per alcuni attimi non si capisce nulla e “va
bene così”. Poi si capisce di provare gratitudine
per il dono ricevuto dal/dalla partner.
La mancanza di confidenza con il proprio corpo
limita la libertà di lasciarsi andare nell’orgasmo e ciò dipende sempre dalla
paura. Dipende, in ultima analisi, dalla paura dell’unica esperienza di abbandono fisico già percepita nell’infanzia come intollerabile e mai
“ri-classificata” come tollerabile: l’esperienza dei singhiozzi del pianto. I
bambini sono capaci di piangere con lacrime e singhiozzi solo se vengono
protetti dall’abbraccio accogliente dei genitori. Lasciati soli a gestire un
dolore ingestibile si bloccano. Bloccano gli occhi per non “vedere il rifiuto”,
bloccano la bocca per non “sentire il vuoto”, bloccano il collo per non
“perdere la testa”, bloccano la gola per trattenere il lamento doloroso,
bloccano il torace per non respirare “troppo” e bloccano anche l’addome e la
pelvi per non “lasciarsi scuotere” dai singhiozzi percepiti come una minaccia
esterna e non come l’espressione di uno stato d’animo. Tali “blocchi” vengono poi
mantenuti come alterazione cronica
del tono muscolare (“armatura” o “corazza” muscolare). Tutte le tensioni
fisiche eccessive hanno una storia e tale storia inizia con frustrazioni infantili
ingestibili, dato che, in assenza di frustrazioni dolorose, i bambini non hanno
alcun bisogno di strutturare delle tensioni nel corpo.
Nel momento della massima intimità fra due adulti,
la paura (antica) dei singhiozzi del pianto rende (più o meno consapevolmente)
“inquietanti” i movimenti involontari del bacino e di tutto il corpo nell’orgasmo.
Per questo motivo le tensioni croniche costruite “contro” l’onda del pianto
ostacolano l’abbandono all’onda dell’orgasmo. Molte persone, nel momento in cui
stanno per “venire” stringono e irrigidiscono le gambe, per non liberare la
scarica dell’eccitazione e per “spegnerla” nella zona dei genitali. In questo
modo l’eccitazione “rimbalza sul posto”, come quando si urla con un cuscino
schiacciato contro la faccia. Chi rinuncia all’orgasmo e cerca
(inconsapevolmente) di raggiungere un acme mantiene una piena lucidità. Fa
un’esperienza piacevole, positiva, gratificante e tale da aumentare e
consolidare l’intimità con il/la partner, ma
entro limiti in qualche modo prestabiliti. Anche un rapporto sessuale
“tecnicamente genitale” può quindi concludersi con un acme anziché con un
orgasmo.
Purtroppo, le ricerche svolte sull’orgasmo maschile
e soprattutto su quello femminile sono condizionate da ciò che i ricercatori si
chiedono. Domande povere o confuse generano risposte superficiali o errate.
Ogni tanto trovo notizie di “scoperte” sensazionali sul “punto G” o sulla
“evidenza” del fatto che non esiste l’orgasmo vaginale. Io sono poco
interessato a queste “scoperte”, perché quando la mia prima ragazza mi disse di
aver sentito “cose nuove” proprio “all’interno”, dopo un lungo periodo in cui
avevamo fatto sesso piacevolmente “come capitava” e senza porci “obiettivi
sessuologici”, mi spiegò molte cose della sessualità femminile che non ho
dimenticato. Ci eravamo divertiti molto anche prima, ma da quel momento lei si
divertì di più e, a dire il vero, fece divertire di più anche me. Anche le
esperienze emotive divennero più intense. Questi fatti personalmente
riscontrati (ed altri fatti che mi sono stati riportati dai/dalle clienti,
negli anni) mi fanno ritenere “deboli” tutte le “teorie” in base alle quali le
donne possono avere solo un “orgasmo clitorideo” o in base alle quali non
esiste alcuna distinzione “dimostrabile” fra acme e orgasmo. Tali concezioni
non mi fanno cambiare le mie convinzioni: io stavo bene con la mia ragazza
anche prima della sua “scoperta” dell’orgasmo vaginale e, proprio perché stavo
bene, non sentivo alcun bisogno di dimostrare “scientificamente che non si
potesse anche stare meglio. Purtroppo, spesso, le teorie sono scorrette perché
devono dare un ordine al disordine emozionale e ai pregiudizi degli studiosi.
Il passaggio dalla barbarie alla civiltà, o dalla
natura alla cultura, o dalla condizione “animale” a quella “umana” non si è
realizzato, come molti credono, con l’organizzazione sociale-famigliare o con
la filosofia, la scienza, la tecnica e l’arte, ma con la “scoperta
dell’intimità” e con il passaggio dalla sessualità riproduttiva (al servizio
della specie) all’intimità sessuale (al servizio della felicità). La sessualità
è un grande territorio che include desideri, emozioni, convinzioni, gesti,
contatto psicologico, contatto fisico, provocazioni, risposte, complicità, resa
alle proprie sensazioni ed al/alla partner. Nella sessualità ha un ruolo particolare
la genitalità, semplicemente perché i genitali (maschili e femminili) in
qualche modo danno una “direzione” alla crescita dell’eccitazione e liberano
l’orgasmo. Nel linguaggio comune, il termine “genitalità” indica
fondamentalmente la capacità adulta di usare gli organi genitali e di
procreare. Il termine ha, infatti, la stessa radice di “genitore”, “generare” e
“generazione”, e ciò rinvia al fatto che nella storia della specie umana la
sessualità genitale è stata strettamente collegata non solo al piacere, ma
anche alla procreazione. I metodi anticoncezionali e, recentemente, la
possibilità tecnica della fecondazione artificiale hanno spezzato il nesso fra
la capacità adulta di cercare il piacere sessuale e quella di generare, ma nel
linguaggio i due aspetti sono ancora associati.
Il termine “genitalità” ha assunto nell’ambito della
psicoterapia un significato più preciso, dovuto soprattutto alla concezione
psicoanalitica formulata da Sigmund Freud all’inizio del secolo scorso
Tuttavia, utilizzo tale termine in un’accezione che non coincide con quella
psicoanalitica o di altre scuole di psicoterapia, perché voglio mettere a fuoco
soprattutto il ruolo espressivo-relazionale della sessualità e della
genitalità.
Freud ha parlato di “primato dei genitali” (1905, p.
507) per sottolineare che la sessualità adulta costituisce l’ultima fase di un
lungo sviluppo psicologico e fisico. Nonostante tutti i limiti e gli equivoci
concettuali della sua teoria, dobbiamo riconoscere che Freud è stato il primo a
tentare una sistematica spiegazione del fatto che gli esseri umani arrivano da
adulti ad esprimersi (più o meno compiutamente e liberamente) sul piano
sessuale dopo aver attraversato molte fasi. Tutte le esperienze riguardanti la
ricerca del piacere in generale (dalla fase dell’allattamento in poi), secondo
Freud incidono sul “risultato finale”. Se ciò resta vero, sono tutt’altro che
scontate le speculazioni freudiane relative ai vari aspetti di tale sviluppo.
Freud non ha mai chiarito in modo soddisfacente che le fasi critiche dello
sviluppo psicosessuale non sono dovute principalmente alla “natura” delle
“pulsioni infantili, ma all’interazione fra i bisogni affettivi dei bambini e
le risposte dei genitori. Non ha nemmeno chiarito che tali risposte non hanno
alcun “effetto” sullo sviluppo successivo, ma hanno solo l’effetto immediato di produrre appagamento o
dolore. Ciò che conta davvero è il fatto che i rifiuti dei genitori rendono
necessaria la costruzione di difese psicologiche e che proprio queste difese
psicologiche disturbano la sessualità adulta e creano uno scarto fra le
potenzialità individuali e l’espressione di tali potenzialità.
Un allattamento poco soddisfacente non “causa”
nulla, a parte un immediato dolore “totale”, perfettamente sentito, non compreso
e ingestibile. Da tale dolore i neonati si difendono irrigidendo i muscoli
della bocca, alterando la motilità orientata alla ricerca del piacere e quindi
attivando micro-atteggiamenti precursori di successivi atteggiamenti voraci
oppure distaccati. A mio parere, è quindi importante comprendere che l’antico
dolore “passa”, mentre le difese costruite dai bambini restano e limitano
l’intera esistenza personale ed anche la sessualità adulta. Quando le persone
non ammettono e non esprimono la loro dipendenza ed il loro coinvolgimento nei
rapporti affettivamente intensi, cercano di restare dissociate da antichi (e
nemmeno consci) vissuti di bisogno e di intollerabile frustrazione. Allo stesso
modo, quando le persone sono sempre alla ricerca di contatto fisico, appoggio,
“nutrimento affettivo”, non cercano reali ed attuali gratificazioni, ma si
ostinano a non sentire che qualcosa “manca” (non oggettivamente, ma come
sensazione soggettiva) e a non accettare che tale mancanza non può essere
colmata da esperienze “compensative”. Le tensioni muscolari della bocca,
interferiscono anche con lo sviluppo osseo e molte persone con la mandibola
sporgente o retratta mostrano una “determinazione” o una scarsa aggressività
che ha radici antiche relative alla fase dell’allattamento. Tali rigidità
contribuiscono quindi alla strutturazione di complessivi atteggiamenti
caratteriali ed incidono anche sulla libera manifestazione dell’orgasmo.
Il valore attribuito da Freud alla “fase anale”
dello sviluppo psicosessuale rispecchia in realtà il particolare tipo di accudimento a cui sono “condannati” i bambini
in una particolare cultura: le eccessive
preoccupazioni materne per le funzioni intestinali dei figli, l’imposizione del
vasino prima della mielinizzazione dei nervi che regolano lo sfintere anale
(completa solo dopo l’anno e mezzo di età) e le operazioni invasive (perette e
clisteri) attuate senza reali necessità, rendono ovviamente la mucosa anale
particolarmente sensibile e si traducono in seguito facilmente anche in una
intensa sensibilità erotica della mucosa anale o in un’insofferenza per
qualsiasi stimolazione.
Anche la fase “fallica” descritta da Freud include
varie inesattezze, perché da un lato le sensazioni genitali infantili (comprese
quelle vaginali delle bambine) compaiono nei primissimi anni e da un altro lato
le fantasie legate al “possesso” del pene o quelle legate alla “mancanza del
pene” (che in realtà è la presenza di un altro organo!) sono più che altro
speculative e, quando riflettono vicende personali, rinviano ad un ambiente in
cui la sessualità infantile è repressa.
La concezione freudiana è lacunosa, perché pone la
fase “orale” all’inizio dello “sviluppo psicosessuale”, trascurando
l’importanza della “fase oculare” identificata da Wilhelm Reich: i neonati stabiliscono
precocemente un contatto oculare con la madre e anche questa esperienza può
essere nutriente e rassicurante o frustrante e, di fatto, il guardarsi negli
occhi degli adulti può avere una carica erotica anche maggiore di quella
generata dal contatto delle mani con il corpo del/della partner. Per altri
aspetti, la concezione freudiana è confusa o errata, perché non distingue nelle
varie “fasi” ciò che corrisponde ad uno sviluppo spontaneo realizzato in un
clima di accettazione e di libertà e ciò che corrisponde ad uno sviluppo
disturbato da genitori distaccati o svalutanti o distruttivi. In ogni caso, non
voglio esaminare i vari aspetti delle “fasi pregenitali” che Freud ha
teorizzato sulla base di osservazioni e di interpretazioni influenzate dalla cultura
del tempo.
Voglio quindi collocare il termine genitalità in un altro quadro di
riferimento per far presente che nella sessualità adulta non sono semplicemente
utilizzati i genitali e non viene semplicemente scaricata una tensione
nell’area genitale, ma viene espressa la ricerca del piacere, la ricerca del
contatto fisico, l’apertura alla soggettività di un’altra persona e la “resa”
al/alla partner ed alle proprie sensazioni al culmine dell’eccitazione erotica.
L’idea di una sessualità adulta “sana” o “patologica” non mi interessa, come
non mi interessa l’idea di un appagamento sessuale ridotto a scarica
energetica, perché tali idee ostacolano, di fatto, la comprensione di ciò che
conta di più: le persone fanno sesso per gioire e per incontrarsi oppure fanno
“qualcosa di sessuale” mentre in realtà si affannano per vivere senza sentire
“troppe emozioni” e soprattutto per restare dissociate dal dolore. Più le
persone vivono “per non sentire”, più rendono la loro esperienza sessuale
“povera”. Il termine genitalità è appropriato perché la sessualità si esprime
sul piano fisico e il corpo umano è fatto in modo da consentire proprio con
l’unione dei genitali maschili e femminili sia
una completa scarica orgastica dell’eccitazione sessuale, sia l’esperienza di una piena reciprocità
della stimolazione, sia la
possibilità di una esperienza condivisa
dell’orgasmo. Ciò ovviamente non implica alcuna svalutazione o
“patologizzazione” di esperienze sessuali concluse in altri modi (sia per gioco nelle relazioni eterosessuali,
sia per mancanza di alternative nel caso della masturbazione e delle relazioni
omosessuali), ma comporta il semplice riconoscimento del reale “primato” della
genitalità nell’appagamento sessuale e nella realizzazione dell’intimità
sessuale.
Utilizzo il termine “teoricamente neutro” di
eccitazione e stimolazione extragenitale per riferirmi a tutte le stimolazioni
e a tutti i giochi erotici che non includono il contatto fra i genitali
maschili e femminili. Il termine più frequentemente usato è quello di
eccitazione o stimolazione “pregenitale” (Freud, 1915-1917, p. 484), in
ossequio alla concezione psicoanalitica di uno sviluppo “per fasi”, del
desiderio sessuale, ma prescinderò dalle idee psicoanalitiche relative alla
pregenitalità, al “complesso edipico”, al complesso “di castrazione” ed alla
ben nota “invidia del pene” che ha fatto (giustamente) infuriare tante donne.
Le modalità non genitali (extragenitali) di
conclusione del rapporto sessuale favoriscono la complicità e quindi anche
l’intimità, ma non consentono la simultanea crescita dell’eccitazione, in
genere causano l’acme di una sola persona rendendo necessario un successivo
raggiungimento dell’acme dell’altro/a partner, oppure costringono a frenare i
movimenti pelvici involontari. Il “primato” della genitalità non è quindi
un’opzione ideologica, ma una semplice conseguenza di alcuni aspetti della
fisiologia umana: a) le terminazioni nervose dei genitali maschili e femminili
(e non quelle della bocca, dell’ano o di altre parti del corpo) consentono la
liberazione dei movimenti involontari di tutto il corpo nell’orgasmo, b)
l’unione dei genitali consente nell’orgasmo una
piena libertà fisica nell’espressione dei movimenti involontari di entrambi
gli amanti. Ciò significa che tutta la sfera extragenitale è molto importante
nella fase dei preliminari ed anche come occasionale alternativa al completamento
del rapporto sessuale, ma non può essere l’ambito privilegiato della
realizzazione del piacere sessuale e dell’abbandono orgastico alle sensazioni
piacevoli ed al/alla partner.
Il piacere sessuale è in genere svalutato, ma è
ancora più svalutata la componente
extragenitale della sessualità. E’ quindi opportuno tener presente che sia nella sfera extragenitale della
sessualità, sia in quella genitale è
possibile esprimere o non esprimere amore. Infatti, si può impoverire
l’esperienza dell’intimità sia esasperando l’aspetto giocoso del sesso, sia
riducendo la sessualità genitale a schema ripetitivo. Tra l’altro, la
sessualità extragenitale e genitale sono strettamente intrecciate perché nelle
persone tutto si intreccia con tutto. Quando una donna non raggiunge l’orgasmo
genitale o lo raggiunge dopo una lunga stimolazione clitoridea o di altro tipo,
il partner può esprimere il proprio desiderio (e il proprio amore) proprio
favorendo la crescita dell’eccitazione della compagna e anche la donna può
trovare piacevole favorire la crescita dell’eccitazione del partner. In una
coppia la complicità si esprime partendo dalle reali aspettative delle persone
e non da un modello ideale giustificato in base a criteri astratti.
In altre parole, la sfera extragenitale non è “né
buona, né cattiva” e, tra l’altro non è nemmeno ben delimitata. Senza vere
ragioni si considera extragenitale la stimolazione orale dei genitali ma non il
bacio, ritenuto un preliminare “indispensabile” per la sessualità genitale. In
fondo anche le carezze sono stimolazioni extragenitali e quindi tutta la sfera
“proibita” della sessualità extragenitale riflette un semplice conformismo
culturale svalutativo. La sessualità extragenitale implica una complicità nella
ricerca e nella condivisione del piacere estranea agli scopi “nobili”
(soprattutto la procreazione) della sessualità ed è proprio questa complicità “inutile”
che irrita i moralisti. Se si potesse procreare accarezzando insistentemente i
capelli, i moralisti avrebbero già classificato anche la sessualità genitale
come un cedimento alla “eccessiva” eccitazione avvertita “in basso”.
Solo se prescindiamo dai pregiudizi possiamo
comprendere i reali vantaggi e i reali limiti della sessualità extragenitale e
per tale impresa non dobbiamo fare ragionamenti troppo sofisticati. I vantaggi stanno nel fatto che (in
assenza di vergogna o timori o blocchi) la sessualità extragenitale è eccitante
e piacevole. Gli svantaggi si
riducono al fatto che la sessualità esclusivamente
extragenitale (fino all’acme) in genere limita i movimenti involontari
dell’orgasmo e la reciprocità nel raggiungimento dell’appagamento. I vantaggi
sono minimizzati da alcune persone solo per motivi “etici”, mentre gli
svantaggi sono minimizzati da altre persone solo perché confondono l’acme e
l’orgasmo. I maschi che al culmine del piacere contraggono gambe, natiche,
schiena e bacino, immobilizzandosi anziché lasciandosi andare ai movimenti
involontari dell’orgasmo, non possono capire che venire nella vagina è più
comodo che venire in altri “luoghi”, e le femmine che sperimentano solo un acme
clitorideo non possono cogliere la differenza fra un orgasmo genitale e una
stimolazione manuale o orale della clitoride. Tuttavia, le differenze restano
tali anche se non sono comprese.
La complicità nella ricerca del piacere è il primo
aspetto dell’intimità e non può ragionevolmente avere “regole”. Diventa,
tuttavia, una complicità falsa
proprio quando introduce regole: sia
regole negative (“ma come ti permetti?!”), sia regole positive, come nel caso
in cui solo un particolare rituale
rende possibile l’eccitazione. La complicità diventa falsa (ed anche in qualche misura violenta) soprattutto nei casi in
cui le stimolazioni sono appropriate ad una situazione opposta all’intimità,
come nel caso delle relazioni sado-masochistiche, anche se non realmente
violente. In tali “giochi erotici” viene sessualizzata un’angoscia relativa al
controllo e al potere e non viene quindi espresso un reale desiderio sessuale.
In alcuni casi, anche la conclusione del rapporto
sessuale è preferita da una persona o da entrambe su un piano extra-genitale
(masturbazione reciproca o contemporanea, acme causato dalla stimolazione orale,
stimolazione o penetrazione anale); tale conclusione, anche se piacevole, non
consente la piena libertà nel momento dell’orgasmo. I rapporti oro-genitali, ad
esempio, anche se eccitanti comportano delle limitazioni. Se la donna è il
soggetto passivo può avere solo un acme clitorideo, mentre se l’uomo è il
soggetto passivo, deve trattenere i movimenti pelvici dell’orgasmo per non
colpire la gola della compagna e per non urtare i suoi denti. Nei rapporti
anali il soggetto attivo deve trattenere i movimenti pelvici per non risultare
potenzialmente doloroso e il soggetto passivo non può provare un orgasmo. Tali
dati sono oggettivi, anche se non creano problemi a chi ha già il problema
costituito dall’incapacità di sperimentare un abbandono al piacere ed ai movimenti
dell’orgasmo. Nella masturbazione reciproca, la libertà di movimento all’apice
del piacere può, in certe posizioni, essere sufficiente, ma tale giocosa
esperienza non è comunque un’esperienza di completo abbandono e ben
difficilmente consente alle due persone di sperimentare contemporaneamente un
crescita del piacere e un rilassamento completo. Anche la sessualità genitale,
ovviamente, in quanto esperienza umana è di
fatto “imperfetta”: non sempre le due persone raggiungono l’orgasmo
contemporaneamente, ma solo a livello genitale le due persone possono sperimentare contemporaneamente
e con una stimolazione reciproca, sia la crescita del piacere sia l’abbandono
all’orgasmo.
In ogni caso, la semplice utilizzazione dei genitali
non basta a caratterizzare la genitalità nell’accezione del termine da me
suggerita. Il desiderio di “eliminare un privato prurito nei genitali” affossa
l’intimità quanto la vergogna o l’inibizione sessuale, anche se può tradursi in
comportamenti “tecnicamente” completi. Nel
desiderio realmente accettato e manifestato, l’altra persona è identificata
come “attraente”, eccitante e quindi come tanto preziosa da giustificare uno
sbilanciamento nei suoi confronti e un’ammissione di dipendenza. Nell’orgasmo l’altra persona è accettata
come tanto “vicina” da giustificare una rinuncia al controllo del rapporto. Sia
“all’inizio”, sia “alla fine”, quindi, la genitalità consiste nell’astensione
totale dal controllo, dalla delimitazione dei ruoli, dal’esercizio del potere.
Purtroppo, il fare sesso o il fare l’amore spesso non riflettono la ricerca del
piacere e dell’intimità, ma qualche tipo di manipolazione. Non a caso, credo,
molte espressioni popolari (e volgari) che indicano la sessualità genitale sono
le stesse che si usano per indicare un imbroglio o un’esclusione o uno
sfruttamento: la vendita di un prodotto scadente può essere definita “una
chiavata”, un candidato non abbastanza appoggiato dagli elettori o dal partito
può essere definito come “trombato”, e così via. Solo il termine “scopata” allude
genericamente ad un movimento ritmico e, non a caso, nei contesti comunicativi
extra-sessuali non è utilizzabile per descrivere un inganno o un rifiuto. Questa
associazione stretta fra insulti e sessualità genitale (e soprattutto extragenitale) è
semplicemente terribile e indica quanto il piacere sessuale sia svilito.
Nel sesso i ruoli non possono ragionevolmente essere
prefissati e l’idea che la sessualità femminile sia passiva e quella maschile
sia attiva è infondata, sia quando riguarda il contatto genitale sia quando
riguarda i preliminari. La vagina, non solo accoglie, ma risucchia e abbraccia;
il pene, non solo esplora, ma si lascia anche catturare. Allo stesso modo non
c’è una sola ragione per pensare che l’aggressività sessuale (nel senso del
prendere l’iniziativa di un rapporto e nel senso dell’orientare le varie fasi
del rapporto) sia una prerogativa maschile. Anche il “prendere” e il “lasciarsi
prendere”, il “provocare” e l’arrendersi alle provocazioni, il collocarsi
“sopra” o “sotto”, costituiscono aspetti di un’unica danza in cui le due
persone possono scambiarsi i ruoli. Ciò che interferisce con il piacere e con
l’intimità, quindi, è solo la rigidità dell’assunzione di un ruolo. Molti
uomini provano disagio nei momenti in cui la donna si pone in modo attivo e
molte donne provano disagio ad “attivarsi” anche quando ne hanno voglia. Con
tali manifestazioni (difensive) di disagio le persone si dimostrano più
“attratte” da una fantasia privata (o da un timore privato) che dall’esperienza
che stanno facendo. Anche quando una donna dice di poter venire solo se sta
“sopra”, si sta vietando tutto “il resto” e lo stesso vale per un uomo che
perde l’erezione se non sta “sopra”. Ciò ovviamente non significa che le
persone non possano avere delle preferenze e anche delle preferenze condivise,
ma suggerisce l’importanza in una coppia dell’attenzione alle esigenze di fatto
sentite dagli amanti. L’intimità ed il piacere crescono nel tempo proprio nella
misura in cui le persone si vengono incontro con curiosità e sincera disponibilità.
Un
cliente, che chiamerò Ezio, aveva iniziato il lavoro con me da un anno circa,
ma pur “sentendosi meglio”, a mio parere stava “girando a vuoto”. Gli comunicai
la mia sensazione e gli chiesi espressamente se ci fossero temi che
consapevolmente evitava di portare in seduta. Avevamo chiarito che certi
atteggiamenti della moglie erano svalutativi e avevamo anche visto come ai
rifiuti della moglie egli reagisse con un certo distacco, o con irritazione,
come da bambino nel rapporto con la madre. Aveva provato anche momenti di
sentita tristezza, mai espressa compiutamente nel pianto e proprio questa
“incompiutezza” mi aveva spinto ad intervenire chiedendo di affrontare
eventuali temi omessi. Sapevo già che i rapporti sessuali con la moglie erano
poco frequenti, completi sul piano “tecnico” da parte di Ezio e solo
parzialmente soddisfacenti per la moglie che comunque non si aspettava di più.
La questione, ovviamente, non era “sessuologica”, ma relazionale. Ezio rispose
alla mia domanda dicendo che provava un certo disagio a parlarmi delle sue
fantasie sessuali. Poi mi disse di essersi sempre “controllato” e di non aver
mai frequentato prostitute, ma di avere un forte desiderio “in quella
direzione”. Nella sua fantasia, i rapporti erano orali, anali o realizzati in
situazioni in cui rischiava di essere scoperto oppure consistevano in una
penetrazione genitale immediata, con i vestiti addosso (possibilmente
“strappati”), senza preliminari. In pratica, si sentiva stimolato più dalla
“disponibilità” della donna che da un particolare contatto con lei. Precisò che
ovviamente tali giochi erotici non erano nemmeno immaginabili con la moglie,
con la quale praticava una sessualità “regolare” preceduta dal minimo
“sindacalmente consentito” di carezze.
GF.
Io non mi concentrerei sulle tue specifiche fantasie di giochi erotici o sui
particolari rifiuti sessuali di Gianna, ma sul fatto che di giocoso c’è ben
poco nel vostro rapporto.
E.
Il tuo commento mi toglie un peso. Temevo che volessi approfondire le mie
fissazioni e che in fondo le considerassi strane.
GF.
Per queste valutazioni puoi interpellare i preti o la tua anziana madre: loro
sono specialisti in ciò che va fatto e che non va fatto. A me interessa solo
capire.
E.
[Sorride] D’accordo. Però la fissazione c’è. Io non immagino di fare l’amore
con un’altra donna, ma di ricevere “un pompino” o di avere un rapporto anale
con “una donna qualsiasi” e preferibilmente con una prostituta. Anche se non
poniamo censure possiamo almeno chiarire perché con la testa vado sempre a
finire lì? Quando mi masturbo, dato che i rapporti sessuali sono rari, penso a
quello e a volte penso a quello anche mentre faccio sesso “regolarmente” con
Gianna.
GF.
Rispondimi senza riflettere, senza cercare una risposta “intelligente”: qual è
il pompino più esaltante che puoi immaginare e qual è quello che più ti
deluderebbe?
E.
(…) Quello più esaltante è … la donna si eccita vedendo la mia eccitazione.
Quello deludente … non ci ho mai pensato. Forse … se è una prostituta e lo fa
solo per i soldi.
GF.
E cosa ti eccita di più nella fantasia di farlo proprio con una prostituta?
E.
Ora capisco: lei lo fa per mestiere, ma se si eccita, non lo fa solo per
mestiere!
GF.
Se si eccita sentendo la tua eccitazione, cosa succede? Di cosa stiamo
parlando?
E.
Cazzo! [Manifesta una lieve commozione trattenuta]. Parliamo della solitudine!
Cerco delle dimostrazioni di totale disponibilità nei miei confronti.
[Quelle
“fissazioni” molto intriganti sul piano intellettuale e collegabili ad un
mucchio di cose, erano semplicemente un ostacolo alla consapevolezza “sentita”
della solitudine di Ezio bambino e di Ezio uomo. Sarebbe stato facile formulare
“fantasie diagnostiche” corrispondenti alle fantasie erotiche, in modo da “programmare
una terapia” e sarebbe stato facile anche “evidenziare” l’idea della “donna
oggetto”, ma proprio Ezio era (mal)trattato come un “oggetto”: era l’oggetto di
un desiderio asessuato ma possessivo, perché per Gianna lui doveva “esserci”,
ma senza desideri e doveva essere un compagno “stabile”, ma disposto ad
“accontentarsi”]
GF.
Vorrei suggerirti un “compito a casa”.
E.
Quale?
GF.
Quando hai voglia di masturbarti, per una
volta (una volta sola) immagina di fare sesso (come ti pare) con una donna
incontrata nella cerchia delle tue relazioni sociali. Immaginala desiderosa di
fare sesso con te. Una donna che ti ha già detto che a casa sua puoi lasciare
almeno lo spazzolino e qualche camicia.
Nella
seduta successiva Ezio mi disse di aver “fatto il compito”. Dopo la
masturbazione sviluppata con fantasie più intense sul piano emotivo e non
circoscritte ai soli giochi aveva sentito più intensamente la mancanza di una
compagna. Non di una compagna complice solo in un gioco erotico, ma anche in una
relazione. Aveva scaricato con la masturbazione un po’ di tensione, ma aveva poi
sentito il bisogno di esprimere (non di “scaricare”) un altro tipo di
“tensione” e aveva pianto. Aveva sentito quella solitudine sempre sfiorata.
Ezio controllava la sensazione di solitudine con la “fissazione sessuale”, poi
controllava la fissazione stessa evitando di incontrare delle prostitute (che
difficilmente si sarebbero innamorate di lui). Poi controllava il doppio
controllo con un terzo controllo: si vergognava delle sue fantasie come un
ragazzino ed evitava persino con me di parlare del suo “grande problema”.
La sessualità non può essere l’esecuzione di un
programma prestabilito, ma solo la ricerca di un contatto fisico e “interiore”.
Sempre che ci sia fiducia, apertura, curiosità, accoglienza e amore. Basta un
po’ di amore, ma il poco basta se è “qualcosa”, perché anche l’avventura
occasionale sollecitata da un semplice sorriso può essere un fare l’amore nel
senso di fare “un po’ d’amore”. Dunque un fare, un “fare con”, un movimento
verso lui/lei, un incontro, una trascendenza. E’ completamente diversa
l’esperienza del “fare le proprie cose” con la “gentile collaborazione” di
un’altra persona.
Una
cliente mi disse una volta che ciò che la eccitava di più era il modo un po’ “autoritario”
(nel senso di “direttivo”, non di “violento”) di “prenderla” del suo partner.
Lei evitava così di sentirsi responsabile del proprio desiderio e in
pratica godeva più a sentirsi deresponsabilizzata che a prendersi ciò che
voleva. Ovviamente aveva alle spalle una storia non ancora superata: la storia
dolorosa di una costante svalutazione di ciò che non risultava “utile”,
“serio”, “giustificato”. Le idee di questa persona erano abbastanza “aperte”,
perché influenzate dalla cultura “progressista”, ma nell’intimità lei
continuava ad essere “reazionaria” e a nascondere il proprio desiderio. Il suo dolore non aveva a che fare principalmente con il sesso, ma
con tutta una storia di svilimento della sua persona in una famiglia che
idolatrava la cultura e il successo. Piangendo per la vita spesa a dissociarsi
dalla dolorosa non accettazione di “sé-giocosa” e di “sé-leggera” si accorse di
poter osare di più e, fortunatamente, trovò nel suo compagno un alleato, perché
egli gradiva sia “prenderla”, sia “farsi prendere”. Ha quindi mantenuto,
ridimensionandolo, il piacere di essere complice passiva del gioco erotico, ma
ha anche acquisito la libertà di essere attiva, responsabile e “spudorata”.
Fare l’amore significa mostrare con il corpo che si
desidera andare al di là di ciò che si è e affermare che il/la partner è la
persona scelta per questa avventura. Ogni rapporto sessuale veramente libero
non inizia con i preliminari erotici, ma con i “preliminari dei preliminari”,
ovvero con il mantenimento di un’atmosfera erotica, fatta di sguardi, modi di
essere e di agire sempre aperti al piacere. In tale atmosfera non hanno spazio
le rivendicazioni, i litigi, le lamentele, le accuse, le svalutazioni, dato che
il piacere del contatto fisico è inevitabilmente unito al piacere dell’intimità.
Si possono esaminare moltissimi aspetti della sessualità, ma per esaminarli in
modo accurato occorre considerare il modo in cui si intrecciano con il dialogo
interno, con le aperture e le chiusure emotive e con il più ampio modo di vivere.