Può
sembrare strana l’idea che la sessualità interessi a poche persone, dal momento
che molti fatti sembrano dimostrare il contrario. La televisione, la stampa, la
pubblicità, le barzellette, le conversazioni quotidiane trasudano sessualità.
La chiesa e le altre religioni continuano a condannare l’onnipresente
immoralità sessuale, la pornografia ha una notevole diffusione e la cultura
popolare ripropone continuamente idee “antiquate” sul comune senso del pudore e
idee “moderne” sul ruolo maschile e femminile. La cultura accademica, poi, dal
primo Novecento sembra considerare indispensabile in qualsiasi saggio non solo
psicologico, ma relativo a temi sociali, qualche riferimento alla psicoanalisi
e quindi alla concezione freudiana della sessualità. Non intendo negare queste
realtà, ma continuo a ritenere che la sessualità non abbia affatto un ruolo
centrale nella vita delle persone. Il fatto che moltissime persone mettano al
mondo dei figli non dimostra che i bambini siano importanti per le persone e
per la società e, infatti, non sono affatto importanti. Allo stesso modo, il
fatto che più o meno tutti parlino di sesso e molte persone facciano sesso non
dimostra alcun reale interesse per la sessualità. Credo che la sessualità non
sia importante per moltissimi esseri umani, che sia superficialmente importante
per alcuni esseri umani e che sia molto importante solo per pochi esseri umani.
Per chiarire questa idea apparentemente bizzarra, vorrei ricordare alcuni fatti
che mi sembrano più convincenti di quelli che suggeriscono l’idea di un diffuso
interesse per la sessualità.
a)
Non esiste una cultura del piacere sessuale. Esiste una cultura della famiglia,
del matrimonio, della condanna dell’immoralità sessuale, della trasgressione
sessuale, della maternità, della paternità, dell’inquietudine sessuale, del
conflitto fra i sessi, della rinuncia al sesso, della fisiologia del sesso, ma
non esiste una cultura del piacere sessuale. Il romanzo L’amante di Lady Chatterly di Lawrence (1928) è stato scambiato per
un libro pornografico e il ruolo della sessualità in 1984 di Orwell (1949) non è stato realmente compreso dai critici.
Le scene erotiche adatte a rappresentare una fusione di tenerezza e passione
fisica sono assenti nei capolavori della storia del cinema e compaiono
(raramente) in film minori, probabilmente per una svista del regista o per un
eccesso di zelo degli attori. I giovani sono sessualmente inibiti oggi come nel
secolo scorso, anche se usano un vocabolario volgare, impensabile in passato.
Gli adulti si angosciano per il rendimento scolastico dei figli adolescenti, ma
non si chiedono se siano frustrati o appagati sessualmente. Le separazioni che
concludono delle relazioni di coppia sono quasi sempre traumatiche e le
delusioni, i rancori o le vendette normalmente espresse dimostrano che le
persone non sono mai state realmente in intimità quando “si amavano”. In una
società sessuoaffermativa starei scrivendo l’ennesimo libro di una serie
interminabile di opere sull’argomento e non un testo “strano” che collega
argomenti da sempre tenuti separati e che contrappone aspetti da sempre erroneamente
associati. L’idea che la razionalità e la ricerca del piacere sessuale siano
così “vicine” o che la libertà di piangere costituisca la condizione per la libertà
di raggiungere l’orgasmo non sono idee scontate. Allo stesso modo, la netta
distinzione che sottolineo fra potenzialità personali (anche sessuali) e
normalità statistica è una distinzione insolita. In pratica, la sessualità
sopravvive ai margini della società e della cultura.
b)
Molte persone, giustificandosi con l’idea che amano rilassarsi in casa, vestono
con cura solo quando escono con amici e conoscenti. Non si capisce perché
sentano l’esigenza di affascinare gli estranei e non la persona che hanno
scelto come compagno/a di vita. In casa si può anche stare comodi indossando
abiti “sessualmente provocanti” per il/la partner, dato che certi tipi di
indumenti intimi o “sportivi” valorizzano l’aspetto fisico come gli abiti
eleganti, ma molto spesso la gente in casa veste “comodamente con sciattezza”.
Ciò significa che la valorizzazione del proprio corpo è intesa come un mezzo
per ottenere accettazione e non per provocare eccitazione. E’ ovvio che una
coppia affiatata mantiene un livello normalmente alto di eccitazione grazie
alla qualità della comunicazione e degli scambi affettivi e non per i vestiti
indossati, ma è altrettanto vero che le donne che in casa sembrano anziane
addette alle pulizie e gli uomini che in casa sembrano pazienti ricoverati in ospedale
lanciano al/alla partner una montagna di messaggi anti-erotici.
c)
In molti casi, dopo la nascita del primo o del secondo figlio la sessualità
nelle relazioni di coppia si riduce drasticamente o cessa del tutto e, nella
maggior parte di tali “casi disastrosi”, l’argomento non è toccato o è preso in
considerazione superficialmente prima di essere accantonato. Gli uomini si
lamentano molto spesso delle donne che pensano solo ai figli, ma non mettono a
fuoco il fatto che se le loro compagne pensano solo ai figli non hanno voglia di “pensare” alla relazione
sessuale. In compenso le donne si lamentano molto spesso del fatto che gli
uomini si dedicano più al lavoro che alla famiglia, ma non mettono a fuoco il
fatto che se agiscono così non desiderano un'intimità sessuale o hanno smesso
di cercarla. In altri casi, invece, tali tragiche situazioni vengono
“giustificate”: gli uomini sono orgogliosi di avere come compagna una “ottima
madre” e le donne sono orgogliose di avere come compagno un “gran lavoratore” che,
con il sudore della sua fronte, provvede alle esigenze della famiglia e si
preoccupa per il futuro dei figli. Una mia cliente iniziò il lavoro analitico
per superare una reazione depressiva alla separazione. Le chiesi di elencarmi
tutte le cose che le mancavano del marito, ma mi parlò solo di cose spiacevoli.
Le feci notare che la perdita di un partner di quel tipo era paragonabile ad
una vincita alla lotteria e mi rispose che avevo ragione, ma che ora si sentiva
“senza punti di riferimento”. In pratica si era bloccata nel rimpianto di
qualcosa che non aveva mai avuto, dato che, nella vita adulta, i/le partner non
possono essere “punti di riferimento” così come lo sono i genitori per i figli.
Per orientarsi nella realtà gli adulti usano le bussole o le mappe, non le
altre persone. Come esseri umani siamo tutti egualmente smarriti nell’universo
e costruiamo rapporti di amicizia o di coppia per condividere la nostra condizione di smarrimento e non per essere
rassicurati. L’idea che le relazioni di coppia diano “sicurezza” è
semplicemente irrazionale e ha come conseguenza inevitabile l’idea che il sesso
serva solo per “adescare” un marito o una moglie.
d)
In tutti i casi in cui le persone si stupiscono di aver “scoperto un tradimento”
dimostrano di non essersi affatto accorte che la relazione non andava bene. In
tutti i casi in cui le persone mantengono un rapporto con il/la partner
“ufficiale” e con quello/a “non ufficiale” non dimostrano affatto di avere una
intensa vita sessuale, ma di riuscire ad avere un pessimo rapporto sessuale con
entrambe le persone utilizzate superficialmente per obiettivi difensivi che
nulla hanno a che fare con il desiderio di un’intimità sessuale.
e)
Il numero dei clienti delle prostitute è molto elevato e ciò può avere solo due
spiegazioni: o i maschi sono talmente fissati con il sesso che pur avendo una
relazione soddisfacente cercano ulteriori gratificazioni, oppure le relazioni
sessuali di coppia sono normalmente insoddisfacenti e una parte dei fidanzati o
mariti o partner maschili cerca altrove qualche surrogato. Se a questo si
aggiungono i casi di “infedeltà” (maschile o femminile) con partner che non
chiedono un compenso economico, il quadro è disastroso. Ma c’è di più: i maschi
(e le femmine) che provano insoddisfazione sessuale nei rapporti di coppia,
raramente dichiarano una profonda sofferenza. Le persone si lamentano spesso
dei/delle loro partner, ma per altri motivi: lui non lava i piatti, lei passa
troppe ore con le amiche, lui/lei trascura i figli, lui/lei “vuol sempre avere
ragione”, “lui non ascolta”, “lei non capisce”, lui/lei è incollato/a ai suoi
genitori come un francobollo. Vi sono anche altri motivi di insoddisfazione
ricorrenti: “lui/lei” ha scordato l’anniversario del matrimonio. Tuttavia,
nelle normali situazioni, ciò che non si capisce è proprio perché mai avrebbe
dovuto ricordare tale infausta ricorrenza. Sembra, quindi, che le persone siano
così poco interessate al sesso da non soffrire per le frustrazioni sessuali.
f)
Si parla spesso dei “problemi della vecchiaia” e i problemi elencati riguardano
sempre la salute, il senso di “inutilità” avvertito da chi non ha più un ruolo
lavorativo, la difficoltà per gli anziani di orientarsi nella società in
continuo cambiamento, le difficoltà economiche dei pensionati, la solitudine
dei vedovi e delle vedove e così via. Non si sente mai parlare del dolore dovuto ad un fatto drammatico: gli esseri
umani (maschi e femmine) hanno capacità di eccitazione e di appagamento
sessuale anche in età molto avanzata,
ma purtroppo perdono il loro fascino prima di notare un affievolimento del
desiderio sessuale. Di conseguenza riscontrano un minor fascino nei/nelle loro
coetanei/e. Ad un certo punto, sempre troppo presto, anche se le persone
anziane si sentono più o meno quelle di sempre, appaiono più come delle persone (o anche come delle persone
presumibilmente affascinanti in passato), che come dei “maschi” o delle
“femmine”. In quanto oggetti sessuali, gli uomini e le donne, a settant’anni o
sessanta o a volte anche a cinquant’anni hanno un valore erotico decisamente
scadente. Molte persone si maltrattano (con l’alimentazione, la scarsa cura di
sé, il rifiuto di mantenere “aperta” la mente, ecc.) e così anticipano l’ora X,
ma prima o poi essa giunge per tutti. Per chi considera il sesso un aspetto
importante dell’esistenza personale, la consapevolezza di aver meno da offrire
a chi si ama e di ottenere stimoli più “deboli” da chi si ama, è necessariamente molto dolorosa. Se
tale dolore non è percepito, la sessualità ha un ruolo molto marginale
nell’esistenza personale e presumibilmente non ha mai avuto molta importanza.
Anche se è spesso trattato il “problema” della “bellezza che sfiorisce” con gli
anni, tali discussioni non hanno nulla a che fare con ciò di cui sto parlando:
riguardano i crucci (infantili) relativi all’apparire meno “giovanili” e non
all’apparire meno “attraenti”. Infatti, molti ragazzi e ragazze sono
indiscutibilmente “giovanili”, dato che sono giovani, ma sono sessualmente
eccitanti come un mal di testa, mentre in alcuni casi, maschi e femmine ben
provvisti/e di rughe e acciacchi hanno una forte carica erotica. In ogni caso,
il tempo lascia i segni e ad un certo punto tutti diventano più “persone” che
“persone sessuate”. Di questo specifico aspetto dell’invecchiamento, in realtà, non si sente mai parlare e ciò, a mio parere, dimostra senza ombra di dubbio
che uomini e donne hanno un interesse davvero modesto per la dimensione
sessuale della loro esistenza.
g)
Nemmeno i “problemi ufficiali” degli adolescenti, riguardano la sessualità,
anche se la loro età comporta notevoli frustrazioni sessuali. Gli adolescenti cercano
più l’approvazione dei coetanei che l’intimità erotica. Le ragazze magre
ansiose di perdere un altro paio di chili vogliono intensamente “essere
perfette” (in base a criteri strani), ma non intendono essere “oggetti sessuali
appetibili”, dato che devastano la loro femminilità. Ovviamente anche i giovani
che al bar ingoiano quattro paste e un cappuccino con molta schiuma non hanno in
mente di far colpo su eventuali partner. I “tipici” tormenti degli adolescenti
vertono sulla loro “identità sociale” e sul risultare “conformi a certi
modelli” (spesso opposti a quelli offerti dai genitori) e tali tormenti
indicano uno scarso interesse per il problema (reale) di non poter fare sesso
liberamente in una società che svaluta il piacere sessuale. L’esigenza diffusa
negli adolescenti di avere tatuaggi, orecchini e abiti “trendy” (orribili e
certamente non sessualmente provocanti), dimostra quanto sia scarso, in
quell’età “sessualmente esplosiva”, l’interesse per la sessualità e quanto sia
preminente l’interesse (infantile) per la “appartenenza ad un gruppo”. In
pratica, gli adolescenti danno poca importanza al sesso come gli anziani e come
le coppie. Restano solo i bambini, ma appena questi manifestano i primi impulsi
sessuali vengono squalificati dai genitori e indottrinati dai sacerdoti.
h)
Consideriamo ora l’indignazione degli uomini e delle donne focalizzata sui
rapporti in generale fra i due sessi, tenendo conto anche del fatto che le
insoddisfazioni più profonde e intime non vengono comprensibilmente rese
pubbliche. Le manifestazioni più esplicite dell’indignazione femminile
riguardano la violenza sessuale, i maltrattamenti e gli omicidi ed anche la
scarsa collaborazione degli uomini nella gestione della casa e dei figli
(quindi il “doppio lavoro” femminile), mentre gli uomini, in ambiti
circoscritti e senza ottenere ascolto dai mezzi di informazione, si indignano
per lo sfruttamento economico che subiscono (soprattutto nelle cause di
divorzio). La cosa più significativa che sfugge a tutti è il fatto che la
“normale” indignazione maschile e femminile non è mai completata
dall’affermazione di ciò che si desidera.
Come se uomini e donne desiderassero solo “non essere maltrattati/e” e non
desiderassero un'intimità migliore.
i)
Il disinteresse per la sessualità si manifesta in un altro modo, con
un’evidenza che solo in una società sessuonegativa può essere trascurata:
maschi e femmine, comprese le persone che vivono in coppia e comprese le poche
persone soddisfatte della loro relazione di coppia, sono “rigidamente
tolleranti” (fino a manifestare una vera complicità) nei confronti delle
religioni (vecchie e nuove) e delle loro espressioni brutalmente
sessuonegative. Una percentuale minima di genitori respinge l’educazione
religiosa dei figli, pur sapendo che anche i preti più “aperti mentalmente”
dovranno necessariamente spiegare almeno i dieci comandamenti e quindi gli atti
“impuri”. Chiunque rifiuterebbe di lasciare un’ora i figli in un “centro
culturale nazista”, ma agnostici ed atei accettano l’educazione religiosa dei
loro figli come conseguenza “inevitabile” della loro appartenenza alla cultura
occidentale. Se tale “tolleranza” nei confronti della sessuonegatività è
comprensibile nei musulmani e nei cattolici osservanti, il fatto che persino i
“quasi cattolici” e i non credenti non considerino terribile una violenza di
questo tipo, si spiega solo con l’indifferenza nei confronti della sessualità.
Anche la marcata sessuonegatività del movimento femminista non è stata rilevata
dagli intellettuali “progressisti” e nemmeno dagli psicoterapeuti. Lo slogan
“storico” che affermava “col dito, col dito, orgasmo garantito” avrebbe dovuto
far preoccupare notevolmente i sinceri progressisti, i sessuologi e gli psicoterapeuti,
ma non ha creato alcuna diffusa inquietudine e alcun significativo dibattito
culturale.
In
questa situazione tragica, di cui ho messo in rilievo solo alcuni aspetti, non
si capisce per quale motivo abbiano tanto successo i programmi televisivi in
cui le allusioni al sesso si sprecano e le “signorine” si agitano in abiti
succinti. La tesi più stupida emersa sull’argomento è quella secondo cui: il
corpo delle donne è maltrattato, esibito e guardato perché il maschilismo rende
gli uomini affamati di oggetti sessuali e disinteressati a quell’affettività di
cui le donne sono depositarie. Volumetti pieni di queste “idee” hanno avuto un
successo notevole ed hanno sollecitato accese discussioni. Purtroppo la realtà
è quella che è, anche se può essere presentata nei modi più bizzarri. Le donne
non sono depositarie di un’affettività più intensa di quella degli uomini,
anche se è vero che le donne normalmente (cioè per delle ragioni da chiarire e
non per via della loro “natura”) utilizzano le emozioni per difendersi da altre
emozioni, mentre gli uomini, normalmente esprimono poco le loro emozioni.
Inoltre, le donne normalmente negano i desideri sessuali e gli uomini in
genere ammettono di provare desideri sessuali, ma hanno il terrore di unire
sessualità e sentimenti. Donne e uomini non sanno che fare della loro vita
erotica perché nell’infanzia cercano un’accettazione che non ottengono e da
adolescenti, da adulti e da anziani continuano a cercare la stessa
accettazione. Il sesso è bloccato o usato strumentalmente perché le persone
temono di sentire il dolore di un’infanzia mai superata. Per questo motivo il
sesso non ha alcuna importanza nella vita della maggior parte delle persone. Ovviamente
l’esibizione delle “risorse” o capacità (reali o apparenti) di tipo sessuale è
difensiva come l’esibizione di capacità (reali o apparenti) di tipo
intellettuale, culturale, artistico, tecnico, ecc. Cambia la “merce” offerta,
ma l’obiettivo è sempre quello di ottenere un “guadagno” non più ottenibile
nell’età adulta. Le persone che conoscono l’appagamento sessuale non hanno
alcun bisogno di dimostrare nulla.
Se
queste considerazioni sono convincenti, possiamo dire che proprio il “chiasso
sessuale” è la dimostrazione del diffuso disinteresse per la sessualità. Gli
adulti non aggrappati alla loro infanzia hanno bisogno di vivere in accordo con
le proprie capacità e aspirazioni. Cercano
(nei limiti del possibile) di costruire una vita soddisfacente e non aspirano a
vivere una vita “povera” ma apprezzata dagli altri. I bambini sono troppo
piccoli per fare sesso, per sapere chi sono, per scegliere le persone con cui
stare, per fare ciò che amano fare, per aver cura di chi amano. I bambini
stanno male come un alberello esposto al vento e hanno bisogno di un palo di
sostegno, cioè di genitori capaci di farli sentire amati e amabili. Hanno
bisogno di ricevere dall’esterno ciò che non possono darsi da soli. Se non
trovano quel sostegno si illudono di poterlo meritare nei modi più strani e dopo
dieci o cinquant’anni continuano a cercare tale sostegno. La sessualità esibita
come dimostrazione di capacità utilizzabili per l’ottenimento dell’accettazione
e della felicità dell’infanzia, costituisce solo una conferma della normale
repressione e della normale svalutazione della sessualità.
Il
discorso ora sviluppato ha un punto debole che può dar luogo ad un’obiezione di
questo tipo: se la prostituzione (quasi esclusivamente femminile) e la
pornografia (prevalentemente rivolta ai maschi) hanno tanto successo,
evidentemente gli uomini sono sessualmente più liberi delle donne. Non è così, perché in un mondo di donne poco
interessate al sesso e di uomini molto interessati al sesso, il “grido di
dolore” dei maschi si leverebbe con un’intensità tale da imporre questo
problema a tutta la società. Credo siano pochi i ragazzi, gli adulti e gli
anziani che piangono tutti i giorni perché devono ricorrere alla masturbazione,
inseguire in rete qualche pornostar o accordarsi con una prostituta in un
viale. In genere si accontentano di qualche valvola di sfogo, dimostrando di
non avere la più pallida idea di cosa sia o possa essere l’intimità sessuale di
cui sentono vagamente la mancanza. In altre parole, la “secolarizzazione” della
società moderna e la “sessualizzazione” della cultura non hanno nulla a che
fare con una maggior consapevolezza del ruolo della sessualità nella
costruzione della felicità personale. Non va sottostimata nemmeno la
percentuale di persone che non ricorrono nemmeno
alla masturbazione o al sesso a pagamento semplicemente perché non desiderano
proprio nulla sul piano sessuale. Vivono per i loro impegni (l’appartenenza ad
un gruppo), per ottenere riconoscimenti (cioè accettazione) sul lavoro, per
accumulare denaro (cioè per “affermarsi”) o per “divertirsi” (cioè per
distrarsi).
La
società, soprattutto attraverso la famiglia, inizia la devastazione della
sessualità umana imponendo ai bambini il disprezzo per il piacere in generale:
il piacere è meno importante del dovere, il contatto fisico è concesso solo
condizionalmente (solo se i bambini sono “buoni”) e il gioco è subordinato
all’ordine, alla pulizia, ai diritti degli adulti e all’esecuzione di rituali
prestabiliti. Tale devastazione procede con la diffusione di idee che
capovolgono la realtà dei fatti: si afferma che la sessualità non è espressione
dell’amore per sé e per gli altri, ma che può e deve essere espressa solo nei casi in cui l’amore (inteso come
manifestazione “altruistica”) è stato dichiarato. Il disastro si manifesta
anche nelle perversioni linguistiche: l’espressione “donna di facili costumi”
lascia pensare che i costumi debbano essere “difficili” e quindi non piacevoli
e l’espressione “un uomo che pensa solo a quello” implica che gli uomini
debbano pensare a cose “più importanti”. Il linguaggio, grazie a queste e a
molte altre aberrazioni afferma, quindi, per implicazione, la svalutazione del
piacere e della sessualità. Le comuni espressioni offensive raramente sono solo
volgari. In genere implicano un profondo disprezzo per certe zone erogene o
certi giochi sessuali o certe persone (soprattutto le prostitute). La cultura
antisessuale trionfa soprattutto nei casi in cui il disprezzo per il piacere
non è trasmesso con l’esaltazione dei doveri (sui quali a volte è possibile discutere), ma con l’esaltazione dei “diritti”. Se si afferma che le donne
hanno il diritto di non essere trattate come oggetti è difficile fare
obiezioni, perché nessuno ama essere strumentalizzato. Il discorso però non sta
in piedi perché per le donne (e gli uomini) il fatto di essere oggetti sessuali
desiderabili (non solo oggetti
sessuali) è semplicemente una fortuna. Se il movimento delle donne avesse
affermato il diritto delle donne (e degli uomini) di non essere solo oggetti sessuali avrebbe implicato
il riconoscimento del desiderio di intimità, di complicità erotica e di
appagamento sessuale delle donne (e degli uomini). Se avesse fatto cose del
genere sarebbe stato davvero un movimento di emancipazione e di liberazione. E non avrebbe avuto successo.
Se
le persone provassero il desiderio sessuale corrispondente alle loro
potenzialità personali, sarebbero semplicemente allergiche a qualsiasi
concezione irrazionale relativa al sesso. Proprio la mancanza di un desiderio
sentito favorisce quei “turbamenti interiori” che le persone colte provano
assaporando certi capolavori della letteratura e che le persone meno colte
provano divorando romanzi “sentimentali”. Al di là dei meriti strettamente
letterari di certe opere e dei “demeriti letterari” di altre, i tormenti di
Madame Bovary e di qualsiasi eroina di una telenovela (e dei loro partner
maschili), non hanno molto a che fare con il desiderio sessuale. Il desiderio
sessuale è semplicemente (quasi) assente nella cultura proprio perché è (quasi)
assente nella vita delle persone. Fortunatamente tale desiderio passa sempre in
qualche modo ed in qualche misura attraverso le fessure o le crepe di quella
grande prigione mentale ed emozionale che gli esseri umani hanno costruito e in
cui risiedono abitualmente. Il desiderio sessuale non muore mai, per fortuna,
ma resta in genere ai margini. Questa strenua sopravvivenza della sessualità in
una società sessuonegativa è l’unico aspetto incoraggiante di una realtà
tragica in cui normalmente le persone si identificano nel loro lavoro, nella
loro condizione sociale, nei loro “valori”, nei loro sintomi e, proprio in
questo modo, rinunciano a comprendere ciò che desiderano.
Due
catastrofi hanno caratterizzato lo sviluppo psicologico della specie umana. La
prima è dovuta al fatto che noi umani riusciamo a sviluppare compiutamente le
nostre uniche ed elevate potenzialità interiori in un arco di tempo molto più
ampio di quello necessario ad altri animali coscienti e sociali. Infatti,
abbiamo bisogno di quasi due decenni per diventare “noi stessi”, mentre ad
altri animali bastano due anni o pochi mesi. Questo processo di crescita
richiede, quindi, un accudimento altrettanto prolungato e moltiplica
proporzionalmente i comportamenti frustranti dei genitori e genera reazioni
difensive nei cuccioli umani. Di questa catastrofe ho già parlato e ora vorrei
fare alcune considerazioni sulla seconda catastrofe che ha caratterizzato
l’evoluzione culturale della specie
umana.
Non
solo abbiamo acquisito potenzialità espressive e sessuali che in genere non manifestiamo,
ma abbiamo strutturato anche chiusure
sessuali fondamentalmente diverse nei due sessi. E’ certamente falso che, a
parte le differenze anatomiche, gli uomini siano “fatti in un certo modo” e che
le donne siano “fatte in un altro modo”, ma è evidente che gli uomini tendenzialmente reprimono la loro sessualità proprio facendo
sesso, mentre le donne tendenzialmente reprimono la loro sessualità evitando di
fare sesso. Anche se vi sono uomini “sensibili ed esitanti” e donne
“insensibili ed aggressive”, così come vi sono (a volte) uomini o donne capaci
di manifestare tanto la tenerezza quanto la passione, nella maggior parte dei
casi (e sempre in modi più o meno marcati), gli uomini tendono a negarsi
sessualmente proprio cercando un contatto sessuale più meccanico che
passionale, mentre le donne tendono a negarsi sessualmente “indugiando” in una
comunicazione emotiva confusa e infantile. Inoltre, quando maschi e femmine
accettano di incontrarsi sessualmente, manifestano “a distanza ravvicinata”
atteggiamenti frustranti del tutto coerenti con le modalità difensive
manifestate prima del contatto erotico. Queste operazioni, sia autodistruttive
che distruttive, vengono “giustificate” in modi bizzarri: i maschi tendono a
dire che cercano sesso perché sono “liberi dai tabù” e le femmine tendono a
dire che rifiutano la superficialità dei maschi e non la sessualità in quanto
tale e che lo fanno perché sono “molto sensibili”. In realtà gli uomini non
sono affatto liberi se “si aprono” solo
sul piano fisico e le donne non sono affatto sensibili se “si concedono” solo per esprimere il loro antico
bisogno di essere “ascoltate” (cioè accudite). In questo incubo le più comuni
lamentele dei “poveri maschi” e delle “povere femmine”,
segnalano un reale disagio, ma mirano essenzialmente a non cogliere il nocciolo
del problema. I maschi non capiscono che se le femmine fossero davvero libere
sessualmente si annoierebbero a morte con amanti orientati a fare ginnastica
nel loro letto e le femmine non capiscono che se gli uomini fossero davvero
sensibili non ascolterebbero i loro piagnistei pur di fare un po’ di
ginnastica.
La
sessualità umana, in quanto ricerca attiva del piacere e in quanto apertura ad
una soggettività “altra” e intensamente cercata è, nei maschi come nelle
femmine, una perfetta fusione di accoglienza e di aggressività, posto che uso
il termine “aggressività” nel senso di determinazione ad andare verso un’altra
persona e non nel senso di “prevaricazione”. Se maschi e femmine non avessero
lo stesso potenziale non incontreremmo mai uomini e donne capaci di manifestare
dolcezza e determinazione. Questi casi “atipici” dimostrano
l’uguaglianza basilare del desiderio sessuale e della capacità di
soddisfacimento sessuale nei due sessi, ma non modificano la realtà delle
tendenze prevalenti, dovute presumibilmente a strategie difensive che, per
qualche motivo (non ovvio), portano uomini e donne ad evitare o a limitare in modi diversi la loro sessualità.
Con queste
considerazioni non voglio negare alcune differenze nella fisiologia dei due
sessi che in qualche modo incidono sugli atteggiamenti psicologici (espressivi
e difensivi). Al di là dei caratteri sessuali primari e secondari, sono
accertate nei due sessi altre differenze, come ad esempio una diversa densità
dei recettori della vasopressina (maggiore nei maschi) e di quelli
dell’ossitocina (maggiore nelle femmine). Va comunque anche ricordato che la
stessa “materia biologica” oltre a modellare l’esperienza è modellabile da
questa. Lise Eliot (2009) ricapitola alcune significative ricerche da cui si
comprende che le esperienze incidono sugli aspetti strutturali del cervello e
che quindi non tutte le differenze cerebrali (peraltro modeste) fra i generi
sono imputabili solo ad un immutabile
patrimonio genetico. In ogni caso, stento ad attribuire al patrimonio genetico
un ruolo centrale nella costruzione delle strategie difensive individuali nei
due sessi. In qualche modo, la “seconda catastrofe” e la prima devono essere
collegate e probabilmente solo questo terribile collegamento può chiarire per quale motivo ai
bambini sia chiesto più un autocontrollo emozionale che sessuale e per quale
motivo alle bambine sia richiesto un autocontrollo sia emozionale, sia sessuale.
Perché moltissimi bambini indotti a non far chiasso e a non piangere, dopo
venti o quarant’anni si sentono liberi di far chiasso alle feste, ma non si
permettono di piangere? Perché moltissime bambine indotte a sorridere sempre e
a non dare importanza al sesso, dopo venti o quarant’anni diventano musone, ma
non cercano il piacere sessuale? Dato che le ingiunzioni genitoriali
“generiche” relative alle buone maniere, all’ordine, alla pulizia e ai valori vengono
riesaminate criticamente nel passaggio dall’infanzia alla vita adulta e vengono
quindi consapevolmente confermate o aggiornate o respinte, come mai le
ingiunzioni specifiche relative all’identità di genere vengono tendenzialmente
mantenute?
Le ingiunzioni
genitoriali relative all’identità di genere sono più “profonde” di quelle
relative ai comportamenti socialmente preferibili, perché sono più vicine agli
aspetti nucleari dell’identità personale. Inoltre, le ingiunzioni relative
all’identità di genere vengono trasmesse ai figli da genitori che esibiscono precisi
modelli di genere per
esprimere la loro distruttività di coppia. Offrendo questi esempi a bambini e
bambine che stanno già strutturando le loro difese psicologiche, suggeriscono
in quali modi si possa combattere con efficacia una lotta di potere (accesa o sotterranea) fra i due sessi utilizzando armi
specifiche di tipo “maschile” o “femminile”. Tuttavia, queste considerazioni
non sono conclusive e non chiariscono la cosa più importante: normalmente
maschi e femmine modellano la loro identità personale (non quella sessuale) soprattutto in risposta ai ricatti affettivi
delle madri.
I padri, per quanto a
volte autoritari, non hanno in genere la “forza” che solo le madri hanno,
essendo state per i figli (nel bene e nel male) il primo punto di riferimento
sul piano affettivo. Ora, sia le bambine attaccate alle madri, sia quelle
“ribelli”, tendono da adulte a manifestare una sessualità inibita, mentre sia i
bambini “cocchi di mamma”, sia quelli “ribelli” tendono da adulti a fare sesso
con un modesto coinvolgimento emotivo. Tale situazione sembra giustificare
l’idea che le madri in qualche modo richiedano ai figli ed alle figlie di
rinunciare alla ricerca del piacere, ma che richiedano solo alle figlie di
rinunciarvi in modo “radicale”, lasciando liberi i figli di far sesso, almeno
“tecnicamente”. Tale ipotesi non spiega però le ragioni per cui le madri siano
propense a trattare diversamente i figli e le figlie. Probabilmente un fattore
da non sottovalutare è il seguente: al di là di ciò che le madri “richiedono”
ai figli ed alle figlie, le madri sono femmine
come le figlie. Quindi, le figlie, al di là delle pressioni psicologiche
materne, più o meno forti, sono soggette alla fortissima pressione costituita
dalla consapevolezza di essere come le
madri. In pratica, se gli aspetti genericamente affettivi dell’identità
sono influenzati, sia nei maschi, sia nelle femmine, soprattutto dai ricatti
affettivi materni, solo le femmine, oltre a costruire un’identità psicologica,
costruiscono un’identità sessuale femminile. Ciò rende i condizionamenti
materni presumibilmente più forti nei
confronti delle figlie, dato che i figli “in fondo sanno di essere come
papà”. Ciò può chiarire alcuni aspetti del problema, ma non offre una
spiegazione davvero soddisfacente.
Devo almeno accennare
ad una teoria che, se davvero dimostrata, spiegherebbe almeno in qualche misura
questa “seconda catastrofe” costituita da modi diversi nei due generi di
reprimere la sessualità. Elaine Morgan (1972) ha opposto alle teorie ufficiali
delle origini della “scimmia nuda” proposte da Desmond Morris (1967) e altri,
l’ipotesi che i nostri progenitori non abbiano lasciato la foresta per
affrontare la vita nella pianura, ma che per un lunghissimo periodo abbiano
vissuto in prossimità del mare diventando animali più acquatici che terrestri.
Questa ipotesi ha il merito di spiegare molte cose che le teorie più
accreditate spiegano a fatica (la perdita del pelo, l’aumento del grasso
sottocutaneo, il lieve spostamento della vagina, ecc.) e suggerisce che i
cambiamenti anatomici delle femmine abbiano reso più difficoltoso ai maschi l’accoppiamento “tradizionale”.
Sarebbero quindi stati loro a sollecitare l’accoppiamento con la femmina stesa
supina e il maschio sopra di lei. Ciò, secondo la Morgan avrebbe reso le
femmine meno appagate sessualmente e da ciò sarebbero derivate a cascata molte
conseguenze tra cui potremmo oggi aggiungere quella di una diversificazione
delle difese psicologiche nei due sessi. Non posso far mia questa ipotesi
perché non ho la formazione adatta per esprimere un parere personale e anche
perché essa non è stata accettata dagli specialisti della materia. Ho però
voluto accennare alla questione perché i libri di Elaine Morgan hanno suscitato
molto interesse e hanno avuto una notevole diffusione.
Indipendentemente da
qualsiasi ipotesi sulla nostra storia “antica”, resta il fatto che oggi maschi
e femmine hanno le stesse potenzialità espressive sul piano sessuale, la stessa
capacità di raggiungere l’orgasmo e significative difficoltà a cercare il
piacere e l’intimità. Ricapitolando i pochi elementi fin qui considerati,
possiamo dire che la “prima catastrofe” ha colpito (e colpisce ancora) indiscriminatamente
maschi e femmine nella loro capacità di contatto emotivo e di espressione sessuale.
Le differenze anatomiche non possono essere responsabili della “seconda
catastrofe” perché la vagina è un organo attivo come il pene e perché il pene
non è un’arma, ma una “estensione” fisica dell’apertura emotiva. Le altre
(circoscritte) differenze nei meccanismi fisiologici, che rendono le donne
efficienti nella gravidanza e nell’allattamento, possono in qualche misura
favorire la strutturazione di difese psicologiche più “attive” nei maschi e più
“passive” nelle femmine, ma ciò non basta ancora a chiarire le ragioni di una
così marcata differenziazione fra una emotività “contorta”, tipicamente
femminile, ed una emotività “trattenuta”, tipicamente maschile.
Dobbiamo a questo punto
considerare che le antiche o ataviche
collocazioni dei maschi e delle femmine nelle comunità primitive possono aver
lasciato tracce profonde: non tali da determinare
la normale “miseria sessuale”, ma tali da facilitare specifiche tendenze
difensive nei due generi, soprattutto agli albori della civiltà e in contesti
relazionali già devastati dagli effetti della “prima catastrofe”. Se la “prima
catastrofe” ha ostacolato la libertà di desiderare, godere ed
amare, il fatto che tra i nostri antenati le donne si trovassero necessariamente molto impegnate nelle
gravidanze e nella cura dei figli e gli uomini si trovassero molto impegnati
nella ricerca di cibo, può aver in qualche modo reso più facile alle donne ed
agli uomini la scelta di specifiche strategie difensive. Le difese psicologiche
vengono costruite e quindi scelte, ma sempre a partire da precise condizioni:
si capisce quindi facilmente che l’opzione difensiva dello “shopping compulsivo”
sia a disposizione delle persone ricche, ma non delle persone disoccupate. Per
lo stesso motivo, i nostri progenitori possono aver scelto
strategie difensive irrazionali anche
sulla base dei vincoli determinati dal loro genere. Imprigionate nella loro
capanna, forse le donne hanno trovato più facile dissociarsi dai sentimenti
usando altri sentimenti e, “imprigionati” negli spazi esterni alla capanna,
forse gli uomini hanno trovato più facile dissociarsi dai sentimenti “facendo
cose pratiche”. Si deve ovviamente ipotizzare che tali tendenze non siano state
trasmesse geneticamente, ma culturalmente. E si deve essere certi del fatto che senza la
“prima catastrofe”, la seconda non si sarebbe realizzata.
Non ho sicuramente la
pretesa di ricostruire la storia dell’umanità, ma sto solo seguendo il filo di
una fantasia (agganciata però alla storia): senza
il “primo disastro” le donne avrebbero potuto fare le madri restando
consapevoli del loro desiderio sessuale e gli uomini avrebbero potuto fare i
cacciatori restando consapevoli del loro desiderio sessuale ed affettivo.
Solo il blocco del pianto, del dolore, della gioia e del desiderio giustifica
un inaridimento dell’intimità e se tale inaridimento è stato “inevitabile”,
forse è stato più facile che le donne impegnate con i figli tendessero in un
lontano passato a rimuginare e a cercare altre donne con cui solidarizzare
vittimisticamente; forse nella stessa situazione è stato più facile per gli
uomini, costretti a vagare per foreste e villaggi, abituarsi a non pensare troppo e a
“sentire poco”, ritenendosi però liberi di muoversi, di combattere ed anche di
fare sesso. Le condizioni sociali generano facilmente espressioni culturali e
tradizioni culturali. Nessuna condizione sociale produce irrazionalità, ma
l’irrazionalità (difensiva) ha caratterizzato l’inizio della cultura e le
condizioni sociali possono aver modellato le chiusure emozionali.
Non
sono sicuro di aver messo in evidenza i processi più significativi, ma sono
sicuro di due cose: a) la paura di elaborare il dolore (e quindi di vivere la
gioia e di cercare il piacere) accomuna uomini e donne da sempre, cioè fin
dalla “prima catastrofe” (quella “originaria”) e b) fino a tempi relativamente
recenti, l’impossibilità di controllare le nascite (e quindi di disgiungere il
piacere sessuale dalla formazione di nuclei famigliari) ha costretto le donne ad essere legate ai figli (almeno ai figli
piccoli) più degli uomini e ha costretto
gli uomini a vivere più “nel grande mondo” che “in casa”. Oggi una donna può
guidare un elicottero e un uomo può fare l’infermiere e, soprattutto, uomini e
donne possono far sesso senza far figli, ma solo cento anni fa ciò era
impossibile. E non per una malevola volontà dei maschi di esercitare i
privilegi patriarcali (che includevano anche la possibilità di essere sbranati
da una belva feroce o di essere uccisi in guerra), ma per una sfortunata
sovrapposizione di due variabili: A) solo le donne potevano generare e
allattare e solo gli uomini erano abbastanza forti da fare il necessario per la
sopravvivenza del nucleo famigliare e B) sia gli uomini, sia le donne
diventavano persone adulte senza aver superato la loro infanzia e quindi
diventavano persone adulte oggettivamente incapaci di essere psicologicamente
integre e libere.
Credo che questa
tragica sovrapposizione delle vicende infantili disastrose per i bambini e le
bambine, delle differenze nella fisiologia maschile e femminile e delle
necessità legate alla sopravvivenza, abbiano reso le donne propense a
dimostrarsi più “deboli” di quanto fossero e abbiano reso gli uomini propensi a
dimostrarsi più “forti” di quanto fossero. Sicuramente, senza la “prima
catastrofe”, la semplice condanna ad un’esistenza “scomoda” non avrebbe indotto
maschi e femmine a rendere tanto scomoda anche la loro intimità. Le ipotesi
cervellotiche degli psicoanalisti non hanno avuto riscontri scientifici e la
concezione femminista di una violenza maschile subita fin dalle origini da
donne “troppo buone” o “troppo stupide” per farsi rispettare non chiarisce la
repressione sessuale che affligge entrambi i generi né prospetta un reale (e
piacevole) superamento della repressione sessuale.
La
specie umana da molto tempo non “evolve” a livello biologico, ma a livello
culturale. I nostri pronipoti potranno essere tutti femministi o islamici o
appassionati di Paperino e tali cambiamenti non dipenderanno dalla razionalità
umana (ormai irrimediabilmente compromessa) o dalla selezione naturale (da
tempo superata), ma dalla “selezione culturale” delle idee più irrazionali.
Quelle più folli, in una società folle, invadono i giornali, le TV, “la rete”,
le università e le piazze. Tale realtà è immodificabile e taglia le gambe a
qualsiasi speranza in una “evoluzione culturale” della specie umana. Non credo,
quindi, che sussistano le condizioni per una reale “liberazione sessuale” degli
esseri umani, ma non ho dubbi sul fatto che l’imperfezione
della repressione sessuale che si è consolidata nei millenni rende possibili
dei cambiamenti individuali anche profondi. Nella misura in cui i maschi e le
femmine accettano il dolore e rinunciano alle difese psicologiche, possono
esprimere lo stesso potenziale emotivo e sessuale e possono superare le proprie chiusure. Sia i maschi, sia le
femmine, quando si permettono davvero di piangere e di accettare il dolore,
sono capaci di cercare il piacere sessuale e di esprimere la loro passione con
aggressività e tenerezza. Soprattutto sono capaci di creare intimità e di
godere di tale intimità.